La stretta sugli Npl e la perdita delle navi a garanzia dei prestiti
Nel 2017, secondo i dati di Confitarma, la flotta mercantile di proprietà italiana si è ridotta dell’1,8% rispetto alla fine del 2016, ed è passata da 1.474 navi a 1.448 unità. Il calo si riscontra anche nel tonnellaggio complessivo che è sceso, l’anno scorso, dell’1,4% passando da un totale di 16,54 milioni di tonnellate di stazza lorda nel 2016 a 16,32 milioni nel 2017.
Questi numeri sono indicativi della sofferenza che sta vivendo una parte dell’armamento nazionale, alle prese con la ristrutturazione di debiti contratti con le banche negli ultimi anni, quando, dopo aver investito copiosamente sul rinnovamento delle flotte, creando un eccesso di stiva rispetto alle necessità del mercato, hanno sofferto il crollo dei noli che ha fatto da contraltare all’overcapacity. Le banche, da parte loro, anche per necessità imposte dagli organismi di vigilanza, sono portate a cedere i crediti deteriorati. «L’agenda della Bce – ha rilevato la stessa Confitarma nell’ultima assemblea - piuttosto severa e stringente in materia di riduzione degli Npl (non performing loans), determina una progressiva accelerazione dei processi di cessione delle posizioni di credito vantati nei confronti delle aziende armatoriali». Per Confitarma occorre dunque «preservare l’integrità delle imprese del settore», che non devono «essere vittima di azioni speculative». In ogni caso, nell’ultimo anno e mezzo, lo ha rilevato nei giorni scorsi Francesco Lauro, alla guida dello studio legale omonimo, il sistema bancario ha ceduto, a fondi d’investimento e istituti di credito esteri, Npl di società armatoriali italiane per complessivi 1,6 miliardi di euro. E questo ha portato circa 60 navi, che erano date a garanzia, fuori dalla flotte italiana. E per altre 60 si starebbe prospettando lo stesso destino.
Tra le compagnie colpite da questo fenomeno, c’è, ad esempio, la Rbd (Rizzo Bottiglieri De Carlini) colosso armatoriale di Torre del Greco, di cui il fondo Pillarstone Italy ha acquisito circa 560 milioni di crediti in sofferenza, chiedendo poi il fallimento dell’azienda, puntualmente dichiarato dal tribunale, nel gennaio di quest’anno. Meglio è andata alla genovese Premuda di navigazione, che, nel marzo del 2017, ha varato un aumento di capitale da 7,5 milioni riservato a Pillarstone, che è così entrato nella società. Dopo un periodo in cui ha lasciato agire il precedente management, il fondo ha designato alla guida dell’azienda Jens Martin Jensen, partner di Pillarstone ma soprattutto ex manager di Frontline (la più grande compagnia al mondo di petroliere) dell’armatore norvegese John Fredriksen. Vendute due vecchie navi, altre otto unità sono entrate nella flotta di Premuda. Ora la compagnia gestisce 11 navi e il manager pensa a nuovi investimenti.
Situazione ancora non risolta, invece, per la Giuseppe Bottiglieri shipping company, per la quale è stata approvata, dal tribunale di Napoli, la proposta di concordato preventivo messa a punto dalla compagnia con il fondo Bain capital credit, che si è impegnato per 120 milioni di dollari. Nei giorni scorsi, notizie di stampa internazionale davano in vendita le ultime quattro tanker della flotta (che è composta da 15 navi, tra petroliere e portarinfuse). L’azienda, però, smentisce la vendita delle cisterne.