In Egitto tragica fine di una generazione
Ala al-Aswani lo ha definito “un reality”. Cioè «il racconto della realtà con un po’ d’immaginazione». E i personaggi «sono invisibili»: nomi e cognomi inventati «ma esistono davvero». Chi ha vissuto la rivolta di piazza Tahrir del gennaio 2011, nei giorni e nei mesi seguenti fino al suo fallimento, di quei personaggi riconosce volti e nomi reali.
Sono corso verso il Nilo non è un reality. È meno bello di Palazzo Yacoubian e Cairo Automobil Club ma è più potente. Qualcuno lo ha paragonato a Guerra e pace: l’affresco di un grande fatto storico del quale è nota la fine, cionondimeno è letto e riletto. Nonostante la tristezza per la prevista sconfitta, la descrizione di un regime bugiardo e brutale, l’uso ipocrita della religione, la mediocrità di un popolo sottomesso, la tragica fine di una generazione. Questo è stato Piazza Tahrir che al-Aswani ha vissuto in prima linea, e questo è Sono corso verso il Nilo. Un saggio romanzato. La rivolta di piazza Tahrir, nel cuore della capitale, fu una sommossa spontanea contro la palude del regime. Il web, al-Jazeera, Cnn e le pressioni internazionali impedirono a Hosni Mubarak di usare fino in fondo la tradizionale violenza poliziesca. Di fronte al pericolo, i militari sacrificarono Mubarak, dando alla rivoluzione l’abbaglio della vittoria. Intanto l’apparato che governava l’Egitto dai tempi di Nasser rimetteva in piedi la sua macchina della falsificazione e del consenso. È la scena dalla quale entrano, escono e rientrano i protagonisti, tutti veri, a parte i nomi. Il luogo dell’azione è Il Cairo. Cadente e bellissima come sempre, se non fosse che Tahrir, la Corniche, Maspero, Talaat Harb, Al Kasr Al Aini, il ponte 6 Ottobre, sono i luoghi del massacro. Poi c’è il coro, i cairoti sintesi dell’intero Egitto. La loro natura gregaria è racchiusa in un personaggio: un ex militante comunista diventato alto funzionario del regime che lo aveva incarcerato e torturato per dieci anni. «Il popolo egiziano – dice - non si ribella e se anche si ribellasse, la sua rivoluzione fallirebbe perché gli egiziani sono dei codardi, sottomessi per natura all’autorità. Sono l’unico popolo nella storia del mondo che ha elevato i suoi re al rango di divinità e li ha resi oggetto di culto. La cultura che abbiamo ereditato dai faraoni è una cultura di totale obbedienza al sovrano. Il popolo egiziano adora i dittatori, assoggettarsi a un despota lo fa sentire al sicuro».
L’ultima volta che ci eravamo incontrati era stato nel suo studio d’odontoiatria, alla periferia del Cairo: Ala al-Aswani è dentista e scrittore. Dopo il successo di Cairo Automobil Club sentiva «il dovere morale e politico di scrivere un romanzo sulla rivoluzione. Lo devo fare anche se so che potrebbe costarmi». Era l’estate del 2013 e la “rivoluzione” era già andata oltre il punto in cui finisce Sono corso verso il Nilo. Il generale al-Sisi stava già organizzando il golpe per esautorare il governo dei Fratelli musulmani. Era sostenuto da milioni di egiziani, compresi molti giovani di piazza Tahrir. Alla fine al-Sisi non ha fatto che riportare al potere il vecchio regime militare, ancora più brutale di quello di Mubarak.
«Abbiamo fatto una rivoluzione di cui nessuno aveva bisogno e che nessuno voleva. E siccome noi abbiamo mostrato la verità agli egiziani, loro ci odiano dal profondo del cuore», dice un personaggio femminile che per essere stata fra «quelli di Tahrir» è arrestata, umiliata e torturata per settimane. «Non si meritano il mio sacrificio», conclude dopo essere partita per l’esilio. Ala al-Aswani ora vive negli Stati Uniti. È convinto che il regime di al-Sisi cadrà: «Applica le vecchie formule di potere ma in una realtà nuova». Nemmeno lui però si sente di dire quando gli egiziani se ne accorgeranno.
SONO CORSO VERSO IL NILO Ala al-Aswani trad. di Elisabetta Bartuli, Cristina Dozio, Feltrinelli, Milano, pagg. 382, € 18