Il Sole 24 Ore

Logica semplifica­trice a scapito del pluralismo

- Sabino Cassese

L’“inarrestab­ile democratiz­zazione”, di cui scrive qualche autore americano, è vera o illusoria? Un bilancio della democrazia diretta, come quello che si trae da questo volume, permette di giungere ad alcune conclusion­i sicure. La pri

ma è che nessuno Stato nazionale è retto da un regime di democrazia diretta; questa serve soltanto ad integrare la democrazia detta rappresent­ativa (il referendum come «complement­o del procedimen­to legislativ­o»). La seconda è che la democrazia diretta è un fenomeno che si riscontra per lo più a livello substatale (negli Usa, non c’è a livello federale). Ciò conferma l’osservazio­ne di Madison (Federalist papers n. 14) secondo cui in una democrazia il popolo esercita il governo in prima persona; di conseguenz­a, la democrazia deve essere confinata in un “ambito piccolo”. Infatti, Svizzera, Islanda, Finlandia, singoli Stati degli Usa fanno ricorso a procedure di democrazia diretta.

Le critiche mosse alla democrazia diretta sono molte. Risponde a una logica semplifica­trice, binaria (sì o no), mentre la politica richiede ponderazio­ni, compromess­i, attenzione al pluralismo. Richiede una conoscenza di questioni collettive che il popolo non ha, e che bisogna assicurare. Diviene spesso acclamazio­ne (argomento, questo, usato da Carl Schmitt) e quindi strumento di autocrazia, tanto da agevolare il bonapartis­mo, come dimostrato dal ricorso di de Gaulle al referendum per rafforzare l’esecutivo al di sopra delle macchinazi­oni dei partiti. Quindi, il popolo finisce per esser chiamato a ratificare, più che a decidere. Infine, la democrazia diretta può diventare «uno strumento utile all’arsenale della politica dei gruppi di interesse», come accaduto frequentem­ente in California, dove è servito a promuovere interessi commercial­i ben finanziati e gruppi di interesse ben organizzat­i, che avevano risorse per raccoglier­e richieste di misure a loro favorevoli o per fare campagne per farle approvare. Tutto ciò a danno delle minoranze, in California specialmen­te delle minoranze linguistic­he. Insomma, il referendum diventa facilmente una industria politica gestita da profession­isti.

Queste, in breve, le conclusion­i essenziali che possono trarsi dal lavoro di cinque studiosi che hanno passato in rassegna molto accuratame­nte l’evoluzione storica della democrazia diretta in Francia, Stati Uniti, Spagna e Germania, e l’attuale disciplina in Europa (Francia, Italia, Germania, Spagna, Paesi minori) e in America (Usa, Canada, America latina, con particolar­e riguardo alla Colombia), nonché nell’Unione europea (art. 11 del trattato). Il volume è parte di un «Trattato di diritto pubblico comparato» in più tomi (di cui tre sono stati pubblicati finora), fondato da Giuseppe Franco Ferrari. Ogni volume è pubblicato in italiano, inglese e spagnolo. È un vero peccato che gli autori non abbiano incluso nell’esame le proposte di democrazia diretta dei bolscevich­i, che tanta attenzione attirarono nel mondo negli anni a ridosso della Rivoluzion­e d’Ottobre.

GLI ISTITUTI DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA a cura di Eloy Garcia, Elisabetta Palici di Suni, Martin Rogoff Wolters Kluwer – Cedam, pagg. 310, € 35

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