Il Sole 24 Ore

E Torino divenne una capitale «macchiaiol­a»

- Virginia Bertone Galleria d’Arte Moderna di Torino

Nel gennaio del 1926 veniva allestita a Torino, presso la Società di Belle Arti “Antonio Fontanesi” di cui Felice Casorati era uno degli animatori, l’esposizion­e Mostra di pittori macchiaiol­i toscani e di paesisti piemontesi dell’800: sarebbe stata la prima occasione per porre a confronto alcuni dipinti di Antonio Fontanesi, Vittorio Avondo, Lorenzo Delleani con quelli di Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Cristiano Banti, Telemaco Signorini, Adriano Cecioni. Tra le opere esposte spiccava il capolavoro di Fattori, La cugina Argia, che, in quel momento, appartenev­a ancora alla collezione di Riccardo Gualino: questa è una delle opere che si potranno nuovamente ammirare a Torino nella mostra che sarà inaugurata alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contempora­nea.

Quel lungimiran­te tentativo di istituire un dialogo tra gli artisti che rappresent­arono al meglio la volontà di rinnovamen­to dell’arte italiana - con la precoce apertura al paesaggism­o della scuola di Barbizon e le sperimenta­zioni audaci sulla resa della luce e del vero - è stato il punto d'avvio delle ricerche sottese all’attuale mostra. Tra gli elementi di novità vi è il legame che alcuni dei giovani artisti toscani hanno avuto con Torino, la città che, secondo Adriano Cecioni, vide, nel 1861, la prima affermazio­ne dei macchiaiol­i e che fece scoprire a Banti, a Cabianca e a Signorini la novità dei paesaggi di Antonio Fontanesi; altrettant­o significat­ivo appare, sulla scorta della comune collaboraz­ione alla rivista «L’Arte in Italia» (1869-1873), il rapporto di stima e amicizia che legò Signorini ad alcuni degli artisti piemontesi e liguri che diedero vita alla cosiddetta Scuola di Rivara: un’occasione per provare a riflettere sull’esperienza della pittura di macchia ricreando quel fronte che tra Toscana, Liguria e Piemonte contribuì, pur percorrend­o strade diverse, al rinnovamen­to della pittura italiana in senso moderno. In quel 1861, Torino era non solo la città simbolo del processo di unificazio­ne nazionale e la prima capitale del Regno d’Italia, ma anche la scena di una felice stagione culturale. Solo qui poteva essere accolta la scandalosa novità della pittura macchiaiol­a all’annuale esposizion­e della Società Promotrice di Belle Arti: lo scalpore sulla stampa cittadina non avrebbe impedito che sull’Album che accompagna­va l’esposizion­e fosse pubblicata la coraggiosa difesa di Federico Pastoris al dipinto presentato da Cabianca. Al contempo, l’esposizion­e torinese rappresent­ò per i toscani l’occasione per la scoperta dei paesaggi di Antonio Fontanesi. Il loro incontro sarebbe avvenuto di lì a poco, a Firenze; il maestro reggiano vi sarebbe giunto da Parigi, dove per la seconda volta era stato ammesso al Salon. Forte dagli attestati di stima ricevuti, Fontanesi avrebbe presentato a Firenze cinque paesaggi all’Esposizion­e Nazionale: li accomunava una qualità così alta da portare Banti a definirlo «il primo tra i paesisti». E proprio Fontanesi sarebbe stato il riferiment­o dei giovani artisti che si ritrovaron­o a dipingere in plein air a Rivara: Vittorio Avondo, Ernesto Bertea, Alfredo d’Andrade, Ernesto Rayper, Alberto Issel e il loro ospite, Carlo Pittara. Un’esperienza che ha rappresent­ato il contributo più valido del Piemonte per il rinnovamen­to dell’arte italiana nella seconda metà dell’Ottocento.

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Alfredo D’Andrade «Paesaggio con donna al torrente», 1864 circa, Torino, GAM

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