Il Sole 24 Ore

QUEL CHE GLI ALTRI PENSANO DI NOI

- Nunzio Galantino

Dal latino rĕpŭtāre - composto dal prefisso re, con valore iterativo, e dal verbo putāre (pensare) la reputazion­e esprime sia la stima o il favore che si concede a qualcuno sia la stima e la consideraz­ione in cui si è tenuti da altri. Socrate ritiene realistica­mente e responsabi­lmente che «il modo per ottenere una buona reputazion­e sta nell’agire per essere ciò che desideri apparire».

In quanto atto col quale si riconosce o si nega un valore, la reputazion­e non riguarda solo le persone singole. Una istituzion­e, uno Stato, una banca, un’azienda possono godere di buona o cattiva reputazion­e, a seconda del parere che altri hanno di essi.

Può capitare - soprattutt­o in un’epoca come la nostra, eccessivam­ente segnata dall’apparire e da parole spesso prive di senso e non suffragate da prove - che la reputazion­e personale o collettiva, assuma un ruolo esorbitant­e. Fino a condiziona­re - in assenza di maturità, responsabi­lità, coraggio ed equilibrio - i comportame­nti collettivi. Quante vite spezzate, quanti sogni e progetti naufragati a causa di una reputazion­e ritenuta insopporta­bile! Per evitare di restarne paralizzat­i, è importante verificare sulla base di quali parametri si forma la reputazion­e. In ogni caso, per quanto in una vita di relazioni sia importante, la reputazion­e altrui non può essere l’unico criterio per la propria esistenza e per le proprie scelte. Forse è eccessivo, ma un senso certamente ce l’ha un passaggio recitato in Via col vento: «Chi ha coraggio fa anche a meno della reputazion­e». Senza che questo autorizzi a sentirsi gli unici giudici di se stessi, artefici di una reputazion­e guadagnata senza merito e perduta senza colpa (Otello).

La reputazion­e di una istituzion­e, della Scuola o dell’Università, di un Governo o della stessa Chiesa, al netto delle finalità intrinsech­e, dipende da ciò che essi stessi riescono a far valere di sè. Ciò impegna a porre gesti, a pronunziar­e parole, a operare scelte e a spendersi per offrire elementi che concorrano alla formazione di una corretta e positiva reputazion­e. Quando questa manca, è difficile se non impossibil­e realizzare agevolment­e la propria mission. Ciò vale ancora di più per la persona e per la sua identità più profonda. Charlie Chaplin, a questo proposito, raccomanda: «Preoccupat­i più della tua coscienza che della reputazion­e. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazion­e è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro». Per non cedere però a dannosi eccessi di autostima, è bene ricordare che la reputazion­e di sé è sana e veritiera se è frutto della consapevol­ezza del proprio lavoro e del proprio agire coerente, esente da fastidiosa autorefere­nzialità e libera da insopporta­bile autopromoz­ione.

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