«Breviario» del tempo corrente
Riflessioni quotidiane. Un libro di testi brevi che partono da una citazione di autori di epoche, culture e fedi diverse (o di nessuna fede), capaci di condensare in un bagliore una verità, un’esperienza e un insegnamento
Persino l’imperatore Augusto aveva usato questa parola nella formula latina Breviarium imperii, una sorta di guida al governo dei popoli. Per tutti, però, anche per quelli che non hanno una particolare assuefazione a tali realtà, «breviario» è un vocabolo che rimanda al mondo ecclesiastico. E il pensiero può andare a quella sera del «7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio... Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il cammino».
In queste righe dei Promessi Sposi Manzoni usa due vocaboli sinonimici, «ufizio» o «ufficio divino» e «breviario». Si trattava del libro sacro che raccoglieva i testi (soprattutto i Salmi biblici, come indica lo stesso scrittore) della preghiera «ufficiale» quotidiana della Chiesa, impegno orante obbligatorio per i chierici, ma caro anche a molti laici. Nella Biblioteca Vaticana, per esempio, è custodito il «breviario» usato da Francesco Petrarca (con la segnatura Vat.Borg. 364).
La forma più ridotta era denominata «libro d’ore», e questo titolo spiega una caratteristica strutturale dell’«ufficio divino» (officium in latino è anzitutto «dovere, compito, impegno»): esso, infatti, è scandito sulla trama delle ore della giornata, a partire dal Mattutino ancora immerso nella notte, scendendo – attraverso le Lodi dell’aurora, la prima, la terza, la sesta e la nona ora – fino al Vespro e alla Compieta serale, che suggella un intero giorno costellato dalla preghiera. Non per nulla, dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, il nuovo «breviario» è stato chiamato «Liturgia delle ore».
Nell’«ufficio divino», oltre alla sequenza quotidiana, si dipanava una distribuzione secondo lo svolgersi dell’anno liturgico, segnato da tempi particolari come l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua e le varie solennità e feste di Cristo, di Maria e dei santi. Anche le pagine del libro che qui si presenta seguiranno l’intero anno, sia pure secondo il calendario civile. Inoltre, il fondale di alcuni giorni avrà talora il rimando alle date religiose, mentre il sapore ultimo di molte riflessioni recherà tracce spirituali di gusto cristiano. Anche la qualità estrinse- ca di questi spunti di pensiero riflette la parola «breviario», proprio nella sua matrice etimologica che rimanda alla «brevità», al compendio.
Si tratta, infatti, di compendi minimi, così «brevi» da es- sere leggibili in un arco di cinque minuti. Il cuore di ognuna delle riflessioni quotidiane proposte è costituito da una citazione desunta da autori di epoche, culture, fedi diverse o anche di nessuna fede, capaci di condensare in un bagliore una verità, un’esperienza, un insegnamento. Se dovessi giustificare tale procedimento, mi appellerei a un Michel de Montaigne: «Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io, sia per la debolezza del mio linguaggio, sia per la debolezza della mia intelligenza».
Montaigne annotava che «meditare è un’occupazione potente e piena: io preferisco formare la mia anima piuttosto che ornarla». Certo, il termine «meditazione» può sembrare solo religioso; in verità è un’esperienza radicale umana, dovrebbe essere una sorta di medicina dell’anima, tant’è vero che già Leopardi ammoniva nel suo Zibaldone che il verbo «meditare» deriva dal latino medeor, cioè «medicare, curare». È, quindi, una scossa al cuore intorpidito perché torni a battere; è come una lampada accesa in una camera da letto che lacera il velo di una sonnolenza malsana; sono colpi di bisturi che tolgono le escrescenze inutili o pericolose dello spirito; è lo scalpello che sbozza la statua della persona perché sia dotata di salute intellettuale e morale.
Certo, come avviene nel «breviario» liturgico, le ripetizio- ni sono scontate, anzi, necessarie, proprio perché la verità ha bisogno di essere incastonata progressivamente nell’intelligenza; l’amore e la giustizia devono essere una guida costante nei passi dell’esistenza; l’intuizione di un istan- te deve trasformarsi in una visione permanente. La ripetizione, poi, nasce anche da un dato di fatto che il grande Goethe delineava con un paradosso: «Tutti i pensieri intelligenti sono stati pensati: occorre solo tentare di ripensarli». In realtà, è proprio partendo dalla mirabile eredità del passato che possiamo creare nuovi percorsi nel cielo della conoscenza, è dal tronco della tradizione culturale e spirituale che crescono nuovi rami ricchi di foglie e frutti.
Un’ultima nota. Il «breviario» liturgico non deve essere letto tutto di fila come si fa con un romanzo, ma è ritmato su una cadenza quotidiana, «un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno» come diceva il motto di un’altra spiritualità, quella giudaica. Ciò vale anche per il volume che il lettore ha ora tra le mani, articolato proprio in 366 giorni, compreso quindi l’eventuale anno bisestile. Sono riflessioni da centellinare, e questo verbo pare derivi proprio dal numero «cento», indizio di una vastità che non può essere assorbita tutta in un colpo. È, allora, necessario sorseggiarla, degustarla e assaporarla, assaggiandola a piccole porzioni. Solo così all’eccesso che genera nausea si sostituisce il piacere piccolo ma intenso che imprime un fremito al palato dell’anima.
BREVIARIO DEI NOSTRI GIORNI Gianfranco Ravasi Mondadori, Milano, pagg. 420, € 20. Il testo di Gianfranco Ravasi qui pubblicato è tratto dall’introduzione al volume