Il Sole 24 Ore

Pappano giocoso recita Bernstein

Bel «West Side Story» a Santa Cecilia nel centenario del compositor­e

- Carla Moreni

Inaugurare una stagione musicale significa scegliere un titolo che lasci il segno, che si stacchi dagli altri, che guardi a qualcosa di nuovo: West Side Story all’Accademia di Santa Cecilia fa tutto questo. Perché è un musical, ossia quanto di più anti-accademico si possa immaginare, proposto nel tempio della musica sinfonica e cameristic­a, e perché omaggia Bernstein compositor­e, su una partitura del 1957, dove il dialogo resta ancora vivo, nell’anniversar­io dei cento anni dalla nascita. Antonio Pappano è l’artefice assoluto di questo progetto. Per illustrare la sua bacchetta basterebbe dire che in questi giorni sta portando a termine un Ring wagneriano a Londra, di impegno facilmente immaginabi­le, e che in mezzo a Walchirie e Sigfridi riesce a ritagliare in tutta naturalezz­a questa oasi profumata di canzoni, swing, ritmi sincopati, in una perfetta mistura di culture dove il jazz si intreccia con la sinagoga, mentre sospese tinte mahleriane si affiancano a impasti beffardi di ottoni e percussion­i. Tra l’altro con una forte valenza antirazzis­ta, nel testo, sempre attuale.

Pappano non concerta solamente West Side Story: ne cura anche una semplice ma efficace “mise-en-scène”, con entrate e uscite dei cantanti, abbracci e baci, luci di vari colori. Il Coro, su tre differenti pedane, in abiti colorati, anni Cinquanta, può accennare qualche movimento (e via scatenate, le signore, nel blues o nel mambo) mentre lui stesso dal podio diventa parte del gioco: entra insieme a tutti, così da evitare l’applauso di rito, recita benissimo alcune battute del libretto e, coerente fino in fondo, calza pure il cappellino della guardia Krupke, dando un paio di sonori colpi di fischietto! Come il gesto rimanga snello, efficace, sempre esatto sulla partitura, pure in mondi tanto lontani, è il segreto di Pappano: mai un momento, un respiro, un dettaglio, che non cada perfettame­nte in assieme. Morbido, musicale, unisce la naturalezz­a all’efficacia. Creando un effetto-squadra, dove tutti sono coinvolti. Seri e divertiti, come sarebbe piaciuto a Bernstein. Non è facile, questa apparente facilità, per un’Orchestra e un Coro (preparato da Ciro Visco) cresciuti su differenti scritture. In perfetto dialogo con i solisti, leggerment­e amplificat­i: freschi come la maliosa Nadine Sierra, Maria, o il languoroso Alek Shrader, Tony. Come si sa West Side Story, per esplicita volontà di Bernstein, è destinato alla scena. Ma questa versione in forma di concerto, che viene da San Francisco, ne restituisc­e intatto il senso teatrale. E riallaccia il sodalizio tra Lenny e Santa Cecilia, iniziato nel 1948 e durato fino al 1989, anno precedente la morte. Una ricca mostra nel foyer dell’Auditorium lo ripercorre, tra grandi fotografie e citazioni che ancora fanno pensare. Per l’anno prossimo invece si rilancia, inaugurand­o col Berlioz sacro: tutt’altro fronte, ma che di nuovo lascia il segno.

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Sempre attuale. «West side story» diretto da Pappano

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