La poca vita e il molto blues del Cigno nero
Grande donna black dalla vita tormentata e dalla voce di leggenda? Recensire un libro su Billie Holiday quando l’estate si è appena portata via Aretha Franklyn è un anacronismo. Ma non si mescolano bene, l’acqua e l’olio, il jazz e il soul, il bordello e la chiesa; il sublime sommesso lamento di Billie, nata nel cuore del disagio nelle inner city americane, e la sofferenza trasfigurata in canto virtuoso e volitivo di Aretha, proveniente dalla élite afroamericana legata alle parrocchie del gospel. Per cui, detta una piccola preghiera per Aretha, c’è da ripassare, tra le novità editoriali italiane, questa Billie Holiday di John Szwed - studioso di jazz alla Columbia University – pubblicata in America nel 2015 e appena ripresa, nella traduzione di Elena Montemaggi, da Il saggiatore.
Va subito detto che il sottotitolo italiano Una biografia è fuorviante, e che il rigore accademico e il puntiglio sono croce e delizia dell’opera: il problema ovvio di un libro tanto preoccupato di verificare le fonti è che ci vogliono 28 pagine solo per far nascere la protagonista. È la letteratura secondaria, bellezza: posto che l’opera di riferimento sulla vita della cantante è la sua stessa autobiografia, Lady sings the blues (edizione italiana: La signora canta il blues, Feltrinelli), che la cantante firmò insieme a William Duffy, giornalista del «New York Post» molto addentro al jazz ma anche capace di solleticare la pancia di un pubblico non specialistico, una buona parte dell’avvio del libro è dedicato a decostruirne la narrazione. Che si apriva, fulminante, così: «Il babbo e la mamma erano ancora due ragazzi quando si sposarono». E allora via, a verificare, distinguere, sottolineare le dosi di forzatura e/o approssimazione, i perché di una autobiografia molto meno attendibile del lecito.
Un approccio che fa del lettore comune una vittima collaterale: ehi, ma qui non si racconta la vita di Billie Holiday, se ne passano in rassegna i racconti precedenti. Sì, tutta la prima parte del libro – quella intitolata Il mito – è dedicata a decostruirlo, e quel che veniamo a sapere dell’infanzia difficile, dell’indigenza, degli esordi a Harlem, dei molesti mariti che la maltrattano, della tossicodipendenza da eroina che non la molla; ma anche, per esempio, dei filarini con Orson Welles, o del fatto che il suo pasto preferito consiste in anatra arrosto, gin e gazzosa al ristorantino cinese (mentre non sopporta la senape perché una volta da ragazzina rimase per 18 ore immersa in una vasca che ne era piena, tecnica di aborto casalingo). Purtroppo non è però mai una vera biografia strutturata, ma più una rassegna critica di fonti, narrazioni, dicerie; e si avverte che la preoccupazione principale dell’autore, verso Il mito Billie Holiday, è quello di neutralizzarlo per arrivare a quel che in tutta evidenza più gli interessa, ossia (come da titolo della seconda parte) La musicista.
È qui, a volerlo seguire, che Szwed si addentra nel suo territorio: e analizza da maestro la tradizione musicale della musica nera che si fa cabaret e minstrel show, blackface vaudeville, jazz e showbiz; perlustra i precedenti musicali su cui si innesta la voce “triste, olivastra, impastata di whisky, pigra, felina, fumosa” di Billie, per poi analizzarne l’unicità; la capacità di stringere alleanze musicali (con Louis Armstrong, con il sassofonista Lester Young) e quella di appropriarsi del suo repertorio modificando letteralmente tutte le canzoni.
Dispensa approfondimenti sulle canzoni chiave, sulla discografia, sull’evoluzione della vocalità della cantante nella sua fase prima matura e poi tardiva; ci porta con sé nella Cafè Society e nei club di Harlem e poi in sala d’incisione, fino ai suoi album Lady in satin (1958) e Last recording (1959): secondo alcuni, crudeli annegamenti delle sue origini jazz in melassa d’orchestra; secondo altri (tra cui Miles Davis) struggente, indimenticabile canto di un cigno nero senza eguali. Swed registra e illustra tutto, da prof. equilibrato. E i lettori più appassionati alla musica possono trovare qui le lezioni più interessanti, e prendere un sacco di appunti; mentre quelli che cercano vite da leggere come romanzi, saranno già scappati nell’intervallo.