È lo scrittore cinese
raffinatis sima: la scelta della curatrice, Béatrice de Chancel-Bardelot, è quella di concentrarsi solo sugli unicorni paragonabili per ruolo e funzione a quello del ciclo della Dama. Ecco manoscritti miniati, acquamanili, statuine di unicorni accanto alla Madonna (l’animale diventa presto simbolo cristologico), fino agli echi più contemporanei: da Gustave Moreau, a Le Corbusier, dal fumetto di Toni Ungerer ai costumi di Cocteau, al video di Maider Fortune: un unicorno prende una pioggia torrenziale, bianco contro la notte scura, emergendo da un buio bosco e illuminandolo. Come illumina anche noi ma..., poi torna a sembrareuncavallo.Forseèlachiavegiusta. Di tutti gli animali leggendari dell’arte, letteratura, folklore e tradizione, l’unicornorimanedigranlungaquelloconla più grande presa sulla nostra immaginazione. Altri animali favolosi sono palesi invenzioni, presenze nel paesaggio mitico della creazione collettiva. Ma l’unicorno, no, l’unicorno è più di un animale immaginario. Sentiamo che è “possibile”, anzi probabile, ancora meglio, auspicabile: ci cattura perché una creatura così dovrebbe esistere. Lo cantava Rilke: «Oh! questo è l’animale che non c’è. / Non lo conobbero, eppure l’hanno amato / – L’andatura, il portamento, il collo, / fino alla quieta luce del suo sguardo. / Certo non era. Ma poiché l’amarono divenne / un animale puro...». L’unicorno è il distillato più immacolato della nostra immaginazione e, di più, del nostro amore per la bellezza; le rappresenta nella forma più alta. La sua rivincita, scacciato dal sapere scientifico dalla zoologia, è stata rientrare dalla porta, più potente, dell’immaginario, a ricordarci che il meraviglioso è parte decisiva della nostra vita. Quella che dobbiamo coltivare più di tutto, a dispetto delle apparenze, contro la trama della vita quotidiana: perché un unicorno, credeteci, prima o poi, appare. Ed è, e lo è sempre stato, del tutto vero: come la finzione.
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VEGANO