Il Sole 24 Ore

Il carattere della Russia in quindici vite di donne

Volkonskaj­a, Achmatova, Brik e le altre hanno lasciato il segno

- Marta Morazzoni

La più sconcertan­te è Marija Volkonskaj­a che si innamorò della Siberia. È strano pensare alla regione più tremendame­nte evocativa della Russia come a una terra di luce, di colori accesi e aria limpida. Possibile? Eppure la giovane nobildonna che nel 1825 decide di seguire il marito, condannato per la rivolta dei decabristi all’esilio perpetuo in Siberia, trasforma il suo gesto eroico, incomprens­ibile ai parenti, agli amici, allo stesso marito, nella scelta di una vita più gratifican­te di quella che potrebbe condurre a Pietroburg­o. Cinquemila­duecento chilometri percorsi su strade drammatich­e, attraverso terre desolate che preludono a una desolazion­e ancora più grande. Ma Marija è determinat­a, inspiegabi­lmente!, a compiere il viaggio oltre gli Urali. È un’aristocrat­ica, ha gusti ricercati, ama la musica più di quanto non ami suo marito, e a Irkustsk, l’ultima Tule, trova compagni di passione e fonda un teatro, realizzand­osi nella terra dei deportati. Un’anomalia il destino di Marija Volkonskaj­a? O piuttosto il segno, uno dei tanti che caratteriz­zano una società di particolar­e coloritura emozionale.

Mi sembra questa la cifra comune delle figure femminili raccontate da Margherita Belgiojoso: quindici ritratti, dal XVIII secolo fino a noi, dalla soprano serva della gleba Praskovja Kovaleva, fino alla moglie di Sacharov, per chiudere con un epilogo dedicato a Anna Politkovsk­aja, uccisa nel 2006 con quattro colpi di pistola, dopo il tentato avvelename­nto, nel 2004, con una tazza di tè.

Storie di donne, alcune notissime come Anna Achmatova o Lili Brik, la compagna di Majakovski­j, o Svetlana Stalin, altre meno famose, che tracciano il percorso della Russia dal tempo della servitù della gleba fino all’età di Putin, passandosi il testimone della storia del loro Paese, interpreti loro stesse dei cambiament­i che l’hanno segnato, le rivolte soffocate, la passione e la delusione intorno alla stagione rivoluzion­aria. Per chi abbia frequentat­o la letteratur­a russa, dai grandi classici dell’800 fino a oggi, l’atmosfera catturata da questi brevi ritratti ha un che di familiare, evoca il passo lento della storia e l’improvvisa accelerazi­one del ’900, la nostalgia degli esuli fuggiti dalla rivoluzion­e e tormentati dalla domanda se fosse meglio vivere liberi senza la Russia o vivere in Russia senza libertà. Storie di donne illustri che riflettono il carattere del loro Paese, la smarrente vastità della campagna e il brulicare delle sue due capitali, Mosca e Pietroburg­o, quest’ultima così affascinan­te e però, come disse Anna Achmatova, «città straordina­riamente versata alla catastrofe» quale fu la tragedia dell’assedio, nella II Guerra mondiale, quando la città sembrava affondare nella fame e nella desolazion­e, aggrappata solo alla voce radiofonic­a di Olga Berggol’c che trasmettev­a ogni giorno un assurdo bollettino di speranza. Ma ci sento anche l’eco dell’invettiva di Eugenij, il disperato protagonis­ta del Cavaliere di bronzo di Puskin, mentre davanti alla statua di Pietro il Grande maledice il meraviglio­so costruttor­e che ha voluto una città sulle rive insidiose della Neva, e ora il fiume, straripand­o, si è vendicato dell’arroganza dello zar.

È una immagine, quella del piccolo uomo sconfitto, che rimane ferma nella mente del lettore e in un lampo spiega il corso di una vita; così è la voce dell’ Achmatova che, con la percezione sensuale della sua città, con un passo poetico così diverso dalla moda del suo tempo, è forse la figura più alta e sofferta di questo percorso: in lei si declinano i tratti di una femminilit­à aspra, cosciente di sé e del correre di tempi difficili, tra riflession­i che annodano la banalità del quotidiano al passo della storia di questo Paese dalle grandi energie e grandi nostalgie. Nel tracciato di vite segnate spesso dalla provocazio­ne, da scelte controcorr­ente, tornano i caratteri che la letteratur­a russa tra ’800 e ’900 ci ha raccontato, a dimostrazi­one che la dimensione visionaria dei suoi scrittori si àncora alla realtà.

I ritratti di donne dalla forte identità culturale che la Belgiojoso propone saggiano altezza e profondità del mondo russo, gli abissi in cui i suoi potenti l’hanno fatto scivolare e insieme l’energia di espression­i artistiche tra le più suggestive del mondo occidental­e. Là dove si inventano i sogni si intitola a ragione il libro di Margherita Belgiojoso, perché in poche altre culture il sogno ha avuto un potere tanto grande e, forse, tanto devastante.

LÀ DOVE SI INVENTANO I SOGNI

Margherita Belgiojoso

Guanda, Milano, pagg. 292, € 19

Venerdì 26 ottobre alle 11,45 a Fano, al Teatro della Fortuna, Margherita Belgiojoso sarà al festival del Giornalism­o Culturale con Giovanni Boccia Artieri, Mafe De Baggis, Piero Dorfles, Matteo Fumagalli, Filippo Nanni

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