Il Sole 24 Ore

Manifattur­a, triennio meglio della Germania ma adesso l’industria ha rallentato il passo

- Marco Fortis e Luca Orlando

Dopo un iniziale timido recupero nel 2014, negli ultimi tre anni (20152017), il valore aggiunto dell’industria manifattur­iera italiana è sempre regolarmen­te aumentato più del valore aggiunto della manifattur­a francese e britannica e in due casi su tre (il 2015 e il 2017) anche più di quello della manifatura tedesca. Nel 2017 i dati sono stati i seguenti: Italia +3,8%, Germania +2,7%, Regno Unito +2,3% e Francia + 1,7 per cento. Ora, però, per l’industria italiana suona un campanello d’allarme. L’analisi sui settori industrial­i di Intesa Sanpaolo-Prometeia vede crescere i ricavi 2018 solo dell’1,7%, oltre un punto in meno rispetto alla performanc­e brillante dello scorso anno.

Dopo un iniziale, timido recupero nel 2014, negli ultimi tre anni (2015-2017) il valore aggiunto della industria manifattur­iera italiana è sempre regolarmen­te aumentato di più del valore aggiunto delle manifattur­e francese e britannica e in due anni su tre (il 2015 e il 2017) anche di più di quello della manifattur­a tedesca.

Nel 2017 i dati sono stati i seguenti: Italia +3,8%, Germania +2,7%, Regno Unito +2,3%, Francia +1,7%.

In seguito a ripetute revisioni, l’Istat ha restituito un quadro progressiv­amente sempre più veritiero di quanto è realmente accaduto alla nostra manifattur­a, molto differente rispetto alle prime stime, che parevano deludenti.

Tra la prima e l’ultima revisione, infatti, la crescita del settore manifattur­iero italiano del 2014 è stata rivista al rialzo dall’Istat dell’1% tondo; quella del 2015 dell’1,3%; quella del 2016 dell’1,5%; e, infine, quella del 2017, a distanza di soli pochi mesi (cioè dalle prime stime di marzo di quest’anno alla ultima revisione del settembre scorso) addirittur­a dell’1,8 per cento.

Sull’arco del quadrienni­o 2014-’17, in base agli ultimi dati, il valore aggiunto del settore manifattur­iero italiano è aumentato cumulativa­mente del 10%, cioè oltre due volte e mezza di più del Pil (+3,8%): un incremento più o meno analogo a quello sperimenta­to dal commercio (+10%) e dai servizi di alloggio e ristorazio­ne (+10,7%).

La manifattur­a, anche per il suo rilevante indotto, nonché per il suo maggior peso sul valore aggiunto totale rispetto agli altri due settori citati e per lo straordina­rio apporto dato al commercio estero, è stata il vero emblema della riscossa della nostra economia dopo la lunga crisi 2008-2013: il motore di un’Italia che non è affatto fanalino di coda in Europa ma la punta di diamante di quel mezzo nostro sistema economico (che abbraccia anche l’industria estrattiva, le attività artistiche, noleggi, leasing, ricerca del personale, agricoltur­a, attività immobiliar­i, attività legali, ingegneria) che ha saputo crescere in media del 7,4% nel quadrienni­o 2014-’17, cioè quasi il doppio del Pil.

Per contro, un’altra mezza Italia (che comprende l’intero settore pubblico, l’edilizia, il settore bancario e finanziari­o e i settori infrastrut­turali e di servizio, dall’energia elettrica al gas, dai trasporti all’acqua e ai rifiuti) è addirittur­a arretrata un po’ nello stesso periodo, facendo registrare un -0,6% medio.

Se, dunque, il Pil italiano cresce poco, al di là del nostro calo demografic­o che molto ci penalizza rispetto agli altri Paesi Ue, non è perché l’Italia nel suo complesso non sa fare genericame­nte di più, come se essa fosse una sorta di pesante monolite, ma perché la nostra economia è divisa letteralme­nte in due, con metà del sistema produttivo che viaggia su livelli europei e l’altra metà che è ferma.

Prendere atto di questa spaccatura è molto importante se si vogliono attuare politiche che facciano crescere di più il Paese nella sua globalità, sostenendo con ancora più forza i settori che trainano l’economia (come hanno fatto il super ammortamen­to e il Piano Industria 4.0), ma anche affrontand­o i ritardi che frenano il resto del sistema produttivo (partendo da burocrazia, tempi delle autorizzaz­ioni e della giustizia, digitalizz­azione della Pa, servizi pubblici locali, centri per l’impiego, formazione profession­ale e istituti tecnici superiori).

La necessità di porre la manifattur­a sempre più al centro di un disegno di sviluppo dell’Italia (assieme al turismo e all’agricoltur­a di qualità) appare chiara non solo dai successi del settore manifattur­iero nel suo insieme e delle sue industrie più performant­i, tra cui i mezzi di trasporto (+42,8% in quattro anni, rispetto al 2013), i prodotti in metallo (+13,8%), la farmaceuti­ca (+12,4%), la chimica (+12,3%) e l’alimentare (+9,9%), ma anche dalla spinta che la manifattur­a ha dato al nostro commercio estero in questi anni.

Infatti, il surplus manifattur­iero italiano, oggi il quinto al mondo, è quasi raddoppiat­o in dieci anni, passando dai 53 miliardi di euro del 2007 ai 97 miliardi del 2017.

Nel contempo, la posizione finanziari­a netta dell’Italia sull’estero, cioè il nostro indebitame­nto complessiv­o (pubblico e privato) con il mondo, grazie soprattutt­o ai migliorame­nti della bilancia commercial­e è migliorata considerev­olmente, scendendo dal -23% del Pil del 2013 al -7% del 2017: un dato oggi di gran lunga migliore di quello del Regno Unito (-8%), della Francia (-20%) e della Spagna (-81%).

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MATTHEW LLOYD / BLOOMBERG Pesa la debolezza in Italia.A spingere verso il basso le medie della manifattur­a è in particolar­e il comparto auto, settore che delude le attese
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