Il Governo fa muro Ma valuta tetti e slittamenti di spesa
Salvini: Ue attacca il popolo. Giorgetti: con spread a 400 banche da ricapitalizzare
Il «no» europeo al progetto di bilancio italiano era nell’aria. Meno i suoi toni, duri, che hanno l’effetto di compattare il governo: «La manovra non cambia». «Dire oggi che la rivediamo non avrebbe senso», sostiene il premier Conte da Mosca, e indicazioni simili arrivano dal ministero dell’Economia. Tria, chiamato in causa da Moscovici con la speranza che «convinca il governo» a definire «priorità compatibili con le regole Ue», non commenta. Ma l’attacco arrivato da Strasburgo e i suoi modi giudicati irrituali non piacciono al titolare dei conti italiani, e non lo aiutano nel tentativo di ridurre le distanze fra i leader di maggioranza e la Commissione. Dal Mef, in ogni caso, spiegano che la risposta Ue «era attesa», rilanciano il «dialogo costruttivo» ma ribadiscono in sintonia con il premier che la manovra deve puntare sulla crescita per ridurre il peso del debito. Sul presupposto che le ricette più ortodosse seguite fin qui non hanno centrato questo obiettivo.
Ma è la politica ad accendere le polveri. «Non mi meraviglio che la manovra non piaccia alla Ue, è la prima scritta a Roma e non a Bruxelles», sostiene Di Maio mentre il M5S torna a chiedere di «far decadere il Fiscal Compact». Dalla Lega Salvini afferma che la Ue «non sta attaccando un governo ma un popolo». Sulla stessa lunghezza d’onda il sottosegretario Giorgetti. «Non siamo più supini all’Europa», spiega in serata a Porta a Porta. Ma «se sbagliamo siamo pronti a correggere attuando meccanismi automatici sulla spesa», aggiunge confermando il suo ruolo più “dialogante”. E rassicurando sullo spread: «Se veleggia verso quota 400, gli attivi delle banche vanno in sofferenza ed è necessaria la ricapitalizzazione.In quel caso dovremmo intervenire senza indugio». Corale la richiesta delle opposizioni di cambiare a fondo la manovra. Dal Pd l’ex ministro dell’Economia Padoan chiede a Tria di riferire in Parlamento.
«È evidente che qualcuno lo scontro con l’Ue se lo sta chiamando», commenta il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Che rilancia: «Il punto non è abbassare il rapporto deficit/Pil. Il punto è elevare la crescita». Per ottenere questo obiettivo, «correggere la manovra in corso sarebbe auspicabile da parte di tutti».
Dietro alle fiamme dello scontro si muove però il lavoro tecnico per inviare le nuove controdeduzioni nelle prossime tre settimane. E mettere in campo meccanismi in grado di ridurre spesa e disavanzo. «Il 2,4% non si tocca», rilancia Conte. Ma sul piano operativo potrebbe non essere raggiunto per slittamenti nel calendario di avvio di alcune delle misure. A partire da quelle più costose, reddito di cittadinanza e pensioni.
Le bozze di legge di bilancio confermano il meccanismo anticipato ieri dal Sole 24 Ore. Per le due bandiere del contratto di governo la manovra crea altrettanti fondi paralleli, 6,7 miliardi aggiuntivi ciascuno, che rappresentano il tetto di spesa per i provvedimenti attuativi. I testi circolati ieri istituiscono il monitoraggio trimestrale della spesa e citano la possibilità di «eventuali risparmi, anche correlati alla decorrenza delle disposizioni»: conferma ufficiale che la data di partenza di reddito e quota 100 non è scontata. I soldi in meno spesi per il reddito potrebbero spostarsi sulle pensioni. E viceversa. Ma è più difficile. Allo studio c’è anche una verifica degli effetti a fine anno per portare gli eventuali correttivi. Ad aiutare c’è poi l’extragettito dell’asta 5G (4 miliardi nel 2019-2022), che secondo le bozze «concorre al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica».
Va inoltre verificata la possibilità di realizzare davvero tutto il piano straordinario degli investimenti pubblici. Anche in questo caso sono previsti due fondi paralleli: nel 2019 valgono 2,8 miliardi per la Pa centrale e 3 per quelle territoriali. Per oliare la macchina dovrà intervenire la «Centrale per la progettazione delle opere pubbliche», che con 500 assunzioni rafforzerà la struttura dell’agenzia del Demanio. I risultati effettivi andranno monitorati entro il 15 settembre per capire quali «criticità» rischiano di bloccare il processo. Al piano di investimenti è appeso l’obiettivo di crescita dell’1,5%, e un suo rallentamento renderebbe ancora più difficile raggiungere il target. Ma i moltiplicatori utilizzati per le stime fanno in modo che una riduzione di spesa si rifletterebbe solo a metà sull’aumento del Pil.