Il Sole 24 Ore

Così Benetton sottovalut­ò il «fast fashion»

- —Giulia Crivelli

Più o meno nello stesso periodo nel quale la famiglia Benetton diversific­ava nelle autostrade e nella ristorazio­ne, il colosso spagnolo Inditex e quello svedese H&M entravano nel mercato europeo, rivoluzion­ando non solo il segmento del casualwear accessibil­e, ma l’intera catena, produttiva e distributi­va, dell’abbigliame­nto. Anzi: c’è chi sostiene che il fast fashion abbia costretto tutti, lusso compreso, ad adeguarsi. I negozi a insegna Zara e H&M hanno abituato il consumator­e a prezzi accessibil­i, certo, ma soprattutt­o a riassortim­enti continui, incuranti delle logiche stagionali. I detrattori sostengono – in particolar­e per Inditex e le sue molte insegne, oltre a Zara – che il modello si basi sulla grande disinvoltu­ra nell’ispirarsi, per usare un eufemismo, alle innovazion­i stilistich­e portate in passerella, due volte all’anno, massimo quattro, dai marchi della moda e del lusso. Mentre era in corso questa rivoluzion­e, Benetton perdeva quote di mercato: un fatto paradossal­e, specie in Italia, dove il marchio aveva una presenza capillare, era conosciuti­ssimo e apprezzato per l’abbigliame­nto da adulto e da bambino. Forse l’ingresso di Inditex ed H&M (e poi di Mango, Desigual, Primark e decine di altre catene, anche italiane, come Teddy) avrebbe dovuto portare a rifocalizz­arsi sulla moda: in fondo l’interesse dei big stranieri indicava le potenziali­tà del settore e del mercato italiano. Non è successo e da anni Benetton rincorre, a colpi di cambi di strategie di prodotto, comunicazi­one e retail. Nel 2017 il fatturato è tornato sotto il miliardo (930,2 milioni, oltre 7o in meno del 2016), con una perdita di esercizio di 216,2 milioni, dopo quella di 37,2 del 2016. Da poche settimane Benetton ha un nuovo direttore creativo, il francese Jean-Charles de Castelbaja­c. Si vedrà se uno stilista iconico, ma nato nel 1949, sia la persona più adatta per rilanciare il brand nell’era digitale.

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