Così Benetton sottovalutò il «fast fashion»
Più o meno nello stesso periodo nel quale la famiglia Benetton diversificava nelle autostrade e nella ristorazione, il colosso spagnolo Inditex e quello svedese H&M entravano nel mercato europeo, rivoluzionando non solo il segmento del casualwear accessibile, ma l’intera catena, produttiva e distributiva, dell’abbigliamento. Anzi: c’è chi sostiene che il fast fashion abbia costretto tutti, lusso compreso, ad adeguarsi. I negozi a insegna Zara e H&M hanno abituato il consumatore a prezzi accessibili, certo, ma soprattutto a riassortimenti continui, incuranti delle logiche stagionali. I detrattori sostengono – in particolare per Inditex e le sue molte insegne, oltre a Zara – che il modello si basi sulla grande disinvoltura nell’ispirarsi, per usare un eufemismo, alle innovazioni stilistiche portate in passerella, due volte all’anno, massimo quattro, dai marchi della moda e del lusso. Mentre era in corso questa rivoluzione, Benetton perdeva quote di mercato: un fatto paradossale, specie in Italia, dove il marchio aveva una presenza capillare, era conosciutissimo e apprezzato per l’abbigliamento da adulto e da bambino. Forse l’ingresso di Inditex ed H&M (e poi di Mango, Desigual, Primark e decine di altre catene, anche italiane, come Teddy) avrebbe dovuto portare a rifocalizzarsi sulla moda: in fondo l’interesse dei big stranieri indicava le potenzialità del settore e del mercato italiano. Non è successo e da anni Benetton rincorre, a colpi di cambi di strategie di prodotto, comunicazione e retail. Nel 2017 il fatturato è tornato sotto il miliardo (930,2 milioni, oltre 7o in meno del 2016), con una perdita di esercizio di 216,2 milioni, dopo quella di 37,2 del 2016. Da poche settimane Benetton ha un nuovo direttore creativo, il francese Jean-Charles de Castelbajac. Si vedrà se uno stilista iconico, ma nato nel 1949, sia la persona più adatta per rilanciare il brand nell’era digitale.