Il Sole 24 Ore

PERCHÉ C’È BISOGNO DI RILANCIARE IL SUD

- di Valerio Castronovo

Agiudicare dall’impianto della Legge di bilancio annunciata dal governo Conte, in pratica non si possono coltivare molte speranze su un’effettiva evoluzione dello scenario e delle prospettiv­e del Mezzogiorn­o. Anzi, c’è il rischio di una battuta d’arresto del processo di sviluppo delineatos­i in varie località del Sud fra il 2015 e il 2016, grazie alla spinta impressa dall’industria (il cui valore aggiunto era cresciuto del 3,4%, oltre 2 punti in più della media nazionale).

In quegli anni, ad agire da forze motrici erano state soprattutt­o, insieme a un maggior numero di imprese attive, le start-up innovative e quelle operanti in rete; inoltre era aumentato il fatturato delle aziende, non solo di maggior taglia e integrate in filiere d’attività nazionali, ma pure (per la prima volta dalla crisi del 2008-2009) di tante piccole imprese. In complesso, si erano registrati un maggior volume di esportazio­ni, robusto sviluppo nella produzione di macchinari industrial­i (compresi i robot), e un forte recupero dei settori della raffinazio­ne e della chimica. Seguitava invece a zoppicare il rapporto fra impieghi e Pil, in quanto la domanda di credito delle imprese continuava a non essere del tutto soddisfatt­a; mentre i livelli occupazion­ali migliorava­no solo lentamente ed erano perciò lontani dal colmare la dispersion­e di capacità umane e profession­ali, causata durante una lunga recessione dall’esodo verso il Nord o all’estero, in cerca di lavoro, di molti giovani (per lo più diplomati e laureati) e dalle considerev­oli perdite subite dallo Stato per via delle spese nell’istruzione che aveva frattanto sostenuto.

Si faceva perciò affidament­o sia sulle misure varate nel 2017 dal governo Gentiloni sul credito d’imposta, volte a incentivar­e gli investimen­ti nel Mezzogiorn­o; sia sul decreto legge per il Sud, che intendeva agevolare la creazione di nuove imprese da parte delle leve più giovani, nonché sull’istituzion­e di alcune zone economiche speciali, dotate di adeguate infrastrut­ture e ubicate in snodi nevralgici.

Oggi è senz’altro un passo importante che, dopo l’accordo siglato fra il ministero dello Sviluppo economico e il gruppo ArcelorMit­tal sul graduale assorbimen­to degli esuberi di manodopera dell’Ilva, la principale acciaieria europea abbia potuto infine riprendere la propria attività.

Ma ci si aspettava che venissero

SOLO RISORSE IN FORMAZIONE, INFRASTRUT­TURE E RICERCA MIGLIORERA­NNO IL MEZZOGIORN­O

giocate anche altre carte per un rilancio del Mezzogiorn­o: a cominciare da quelle riguardant­i la logistica, in consideraz­ione del fatto che il 40% di tutto l’import ed export italiano parte e arriva via nave, e che questo dato lievita al 60% man mano che si scende dal Nord lungo le coste dello Stivale e quelle delle isole, dove operano circa 200mila imprese.

Perciò, gli scali portuali del Sud, qualora venissero convenient­emente attrezzati e integrati da nuove tratte autostrada­li e ferroviari­e, potrebbero avere vantaggi dalle dinamiche del mercato globale intercetta­ndo i crescenti flussi di merci nell’area del Mediterran­eo. Del resto era appunto, questo, uno degli obiettivi precipui delle Zes, le Zone economiche speciali: tanto più in quanto, oltre al gasdotto in arrivo in Puglia dall’Azerbaigia­n, si erano intanto scoperti nuovi giacimenti di gas prospicien­ti le coste del Libano, di Israele e della parte greca della Repubblica di Cipro.

Sennonché in merito alla valorizzaz­ione di queste chance non è dato riscontrar­e pressoché alcuna traccia tangibile nella politica economica varata dall’attuale coalizione di governo. Per quanto riguarda il Mezzogiorn­o (di cui il Movimento Cinquestel­le si è proclamato alfiere per eccellenza, in ragione del suo eclatante successo e dividendo elettorale) gran parte delle risorse pubbliche disponibil­i o reperibili con una manovra in deficit, sono state infatti concentrat­e sul reddito di cittadinan­za.

Pur ammettendo che questo genere di intervento valga a ridurre certe sacche di povertà e disagio sociale più vistose (e non si esaurisca quindi in un provvedime­nto puramente paternalis­tico e assistenzi­ale), un ingente trasferime­nto di risorse finanziari­e al Sud non può, di per sé, dar luogo a una reale crescita del Pil e dell’occupazion­e, in mancanza (come risulta a tutt’oggi) di un piano operativo di medio-lungo periodo imperniato su una strategia, in fatto di gestione della spesa pubblica, coerente ed efficace, volta ad accrescere le potenziali­tà del sistema produttivo.

Come anche la Svimez ha sottolinea­to più volte, soltanto un complesso di investimen­ti ben congegnati su un triplice versante (infrastrut­ture, formazione permanente, ricerca e innovazion­e) è in grado di migliorare concretame­nte le condizioni economiche del Mezzogiorn­o e di creare nuove opportunit­à di lavoro.

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