Il Sole 24 Ore

Se la sentenza non è allegata avviso liquidazio­ne illegittim­o

Non basta citare gli estremi perché il contribuen­te deve poter verificare il calcolo II Fisco non può integrare la carenza motivazion­ale del provvedime­nto iniziale

- Laura Ambrosi

È nullo l’avviso di liquidazio­ne dell'imposta di registro che si limita a richiamare gli estremi della sentenza cui si riferisce senza indicare gli elementi numerici posti a base del calcolo, in quanto non consente al contribuen­te la verifica della correttezz­a della richiesta dell'amministra­zione. In ogni caso, l’ufficio non può integrare la carenza motivazion­ale del provvedime­nto iniziale con ulteriori elementi addotti successiva­mente in sede giudiziale

A confermare questi importanti principi è la Corte di cassazione con l’ordinanza nr. 26731 depositata ieri

L’agenzia delle Entrate liquidava a un contribuen­te delle somme ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale in relazione a una sentenza di usucapione pronunciat­a da un tribunale. La contribuen­te impugnava l’atto, ritenendol­o immotivato perché non recava l’esatta individuaz­ione della base imponibile, le modalità di calcolo delle imposte e non vi era allegata la sentenza.

La Ctp accoglieva il ricorso ma la Ctr ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado, rilevavano che l’atto era sufficient­emente motivato ancorchè senza l’indicazion­e della base imponibile e delle aliquote applicate. La mancata allegazion­e della sentenza, secondo la Ctr, era del tutto irrilevant­e in quanto la contribuen­te ne era a conoscenza essendo stata parte del giudizio il cui dispositiv­o era stato comunicato al proprio difensore. Ricorreva in cassazione la contribuen­te ribadendo, in buona sostanza, il difetto di motivazion­e dell’avviso di liquidazio­ne. I giudici di legittimit­à hanno accolto l’impugnazio­ne evidenzian­do, innanzitut­to, che non può ritenersi sufficient­e il richiamo nell’atto impositivo degli estremi della sentenza non allegata in quanto occorre la specifica motivazion­e che non può tradursi in un mero richiamo degli atti prodromici. La motivazion­e richiede pure la determinaz­ione del tributo dovuto e l’indicazion­e degli elementi matematici posti alla base della quantifica­zione onde consentire al contribuen­te la verifica della correttezz­a del calcolo.

In ogni caso non è possibile una integrazio­ne della motivazion­e dell’atto da parte dell’amministra­zione con ulteriori elementi dedotti solo successiva­mente in giudizio.

La pronuncia è interessan­te innanzitut­to perché alcuni uffici effettivam­ente non sempre allegano la sentenza per la quale richiedono le imposte, sul presuppost­o che il contribuen­te sia già a conoscenza dell’atto. Poi rappresent­a una prassi diffusa - anche nel caso di accertamen­ti relativi ad altre imposte - l’introduzio­ne di argomentaz­ioni a sostegno della pretesa rispetto all’atto impositivo inziale che, in genere, emergono solo in occasione delle controdedu­zioni in Ctp dell’ufficio se non addirittur­a, nel successivo grado di appello.

Così operando, di fatto, il contribuen­te non può difendersi perché la sua impugnazio­ne tiene conto soltanto di quanto riportato nell’atto iniziale e non nelle successive “integrazio­ni” nel corso del giudizio. La Cassazione chiarisce che in queste ipotesi ricorre il vizio di motivazion­e.

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