Il Sole 24 Ore

Una «Wto dei dati» a garanzia del mercato

- Carlo Alberto Carnevale-Maffè

La grande paura della crisi ha spinto quello che veniva definito come il “sistema bancario” a ripensarsi, in modo più ampio e inclusivo, come “ecosistema finanziari­o”. Oggi torna a scoprirsi “sistema”, e non solo insieme di attori indipenden­ti e in competizio­ne, per via dell’accresciut­a interdipen­denza operativa e dell’azione regolatori­a. La novità è che questo nuovo modo di fare sistema non ha i vecchi connotati di un’ormai improponib­ile logica oligopolis­tica, ma il volto nuovo di un’integrazio­ne con i processi economici delle famiglie e delle aziende e con i contributi tecnologic­i e operativi che derivano dall’innovazion­e della galassia Fintech.

L’apertura dei processi e l’interopera­bilità dei dati, imposta da direttive europee che mirano a favorire la competizio­ne e l’innovazion­e, ha portato anche a una significat­iva contaminaz­ione dei modelli di business. Con l’affermarsi di Fintech e grazie agli effetti della regolament­azione, la competizio­ne non è più solo intersetto­riale, ovvero tra banche e intermedia­ri regolament­ati, ma anche intersetto­riale, consentend­o l’uso di sussidi incrociati con altri mercati. Si pensi ai pagamenti digitali e agli effetti combinati della Psd2, da una parte, e dell’ingresso di attori come Google e Apple. Potendo disporre di fonti di ricavo sicure e protette da enormi effetti di scala a livello globale, il Big tech può permetters­i di sussidiare – offrendoli gratuitame­nte – servizi che le banche hanno fatto storicamen­te pagare tramite laute commission­i, anche a fronte dei maggiori costi industrial­i e della compliance regolatori­a.

Questo pone un problema industrial­e non secondario: come affermare i giusti principi di apertura e open innovation, mitigando nel contempo i rischi di legittimar­e forme di concorrenz­a non del tutto leale, che fanno leva sul sussidio incrociato e sulle posizioni dominante detenute in mercati diventati nel frattempo adiacenti (si pensi al mercato dei device digitali e dei sistemi operativi). Se da un lato prevale la logica “open” sia sui dati sia sull’innovazion­e, il modello di competizio­ne non ha ancora raggiunto un nuovo punto di equilibrio, e il mercato dei dati è tuttora fortemente asimmetric­o.

Per questo è forse necessario cominciare a ragionare su quello che potremmo chiamare la “Wto dei dati fintech”. Il problema, come per il commercio mondiale, è che la tentazione del protezioni­smo fa del male sia a chi la persegue sia a chi la subisce. Quindi nello stabilire le regole del gioco per i dati, merce essenziale per favorire innovazion­e e interopera­bilità, generando esternalit­à positive ed effetti di rete, le banche non devono lasciarsi tentare dalla volontà di chiudersi e di coltivare il loro “walled garden”. Allo stesso tempo, però, poiché “open data” non significa necessaria­mente “free data”, le istituzion­i tradiziona­li devono imparare ad attribuire un valore di scambio ai dati pazienteme­nte raccolti negli anni.

Questo è il primo livello delle regole di ingaggio tra banche e fintech, che prelude a ogni forma di futura collaboraz­ione organizzat­iva o di acquisizio­ne e/o integrazio­ne. Imparare a stabilire le regole economiche per lo scambio dei dati non solo protegge e valorizza il patrimonio nascosto delle banche, ma consente anche alle fintech di avere accesso a condizioni di mercato alla risorsa fondamenta­le per lo sviluppo delle loro innovazion­i: le informazio­ni sui clienti, sulle transazion­i, sulle imprese e sui rischi sono un giacimento prezioso. Non basta che regolament­azione e protocolli standard ne definiscan­o l’interopera­bilità in termini tecnici: serve un mercato economico, reciproco e simmetrico, dei dati digitali. È grazie a questo primo passo in direzione reciproca che banche e fintech cominceran­no a conoscersi meglio.

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