Tra banche e fintech vince il cliente
La rivoluzione dell’innovazione è partita dalle transazioni, ma ora si allarga a tutti i comparti Crescono le startup focalizzate su segmenti specifici: da qui nasce l’opportunità di collaborare in una logica da ecosistema
AMilano ogni giorno 10mila persone entrano in metropolitana senza biglietto, semplicemente strisciando sul tornello la carta di credito contactless. A Londra The Watch House, caffè molto trendy a un passo dal Tower Bridge, ha fatto una scelta molto radicale per i suoi clienti: da inizio anno il locale ha messo al bando il contante. L’elenco potrebbe essere molto più lungo, ma i casi sono ormai nelle tasche e negli smartphone di ciascuno: il pagamento diventa sempre più immateriale, facile da usare e integrato nel luogo in cui si trova l’utente. L’atto del pagare è invisibile, sia online che nel mondo fisico, il più naturale possibile: oggi passiamo con il Telepass al casello, domani entreremo nel bar al mattino pagando senza accorgercene il “solito”, cappuccio e cornetto.
Il settore dei pagamenti è quello che è stato più facilmente preda dell’innovazione disruptive del fintech, che sfrutta la tecnologia per comporre e ricomporre modelli di business a partire dai processi più semplici. Ma non c’è dubbio che le transazioni siano ambite soprattutto per la grande dote di informazioni che scorrono insieme al denaro digitale. Tutti dati che con il contante si perdono e che nel digitale si trasformano nel vero valore della transazione, tanto più se integrati in un mercato di libero scambio dei dati come quello delineato da Psd2.
«Il pagamento diventa l’occasione per instaurare un rapporto personale con il cliente: rappresenta solo il momento finale di un processo, da abilitare in maniera completamente frictionless», afferma Simone Zucca, Digital sales & marketing di Google Italia. Non c’è dubbio che Big G sia uno dei potenziali player nello scenario dei servizi finanziari del futuro. Che sembra puntare verso la valorizzazione delle rispettive competenze e punti di forza in un ecosistema in cui fintech e operatori tradizionali giocheranno la loro partita. Nei pagamenti, ma non solo! «Il fintech si sta sviluppando su tre filoni principali: l’estrazione di valore dai dati, con l’effetto di profilare meglio i clienti, di permettere un efficientamento del cost-to-serve e di offrire nuovi servizi tagliati su misura; il supporto nell’ambito dei controlli interni, in termini di audit, compliance e risk management più efficienti; la specializzazione su segmenti specifici con strumenti innovativi, dai pagamenti al lending all’asset management», sostiene Marco Giorgino, professore di Istituzioni e mercati finanziari al Politecnico di Milano.
«Nella sfida tra banche e fintech a vincere è di sicuro il cliente, che beneficia di maggior funzionalità, costi ridotti e migliore qualità dei servizi. Ma il fintech porta soprattutto una grande trasparenza, colmando quell’asimmetria informativa finora dominante nel settore e permettendo al consumatore di emanciparsi rispetto al fornitore dei servizi», aggiunge Roberto Nicastro, Senior advisor di Cerberus e Angel investor in fintech. «Senz’altro - prosegue - il fintech rappresenta una minaccia per la banca andando a intaccarne la marginalità, ma allo stesso tempo offre grandi opportunità di riduzione dei costi e maggior efficienza, ma soprattutto aiuta i player tradizionali a utilizzare in maniera più efficace i dati a disposizione sia in chiave di cross-selling, di offerta di servizi più targetizzati sulle necessità del cliente, sia di proposte più flessibili che possano anche concretizzarsi in tariffe elastiche a seconda del cliente».
D’altra parte il fintech è sotto i riflettori: a livello globale le startup del settore sono oggi 1.210, il 66% in più di due anni fa, con un balzo del 70% a 43,7 miliardi di dollari dei finanziamenti, stando ai numeri dell’Ossevatorio Fintech del Politecnico di Milano. Che si è concentrato sulle tendenze legate al rapporto con gli incumbent. Nel 70% dei casi si tratta di startup focalizzate su singoli servizi, che sfruttano l’innovazione tecnologica applicata a un segmento specifico, in teoria in concorrenza con i servizi delle banche. Ma che guardano con grande interesse a quella massa critica di clienti che le banche hanno in pancia. Un altro 16% ha una strategia che prevede per sua natura di collaborare con le banche per la loro digitalizzazione. Di fatto, secondo i dati dell’Osservatorio, solo un 14% dei nuovi player nasce all’insegna della conflittualità aperta con gli incumbent. «Gli operatori fintech stanno emergendo in maniera crescente come possibili partner, anzi laddove essi costruiscono business plan basati sulla collaborazione, su piattaforme aperte all’integrazione di servizi e soggetti, alla fine la crescita e la possibilità di sviluppo ne guadagnano», conferma Giorgino.
«La convergenza tra banca e fintech è abbastanza naturale – conclude Nicastro -: la banca può mettere sul piatto la propria clientela, il fintech apporta innovazione su settori specifici e permette di superare la grande rigidità dei sistemi informativi delle banche. Potenzialmente la minaccia sono i big tech, che possono fare leva sulla gran massa di clienti che hanno direttamente in casa: finora non sono entrati con convinzione nei servizi finanziari, se non per sostenere il loro core business, oggi più redditizio, forse anche spaventati dal quadro regolamentare bancario molto più severo rispetto a quello a cui sono adusi. Ma quando decidessero di fare sul serio il gioco potrebbe cambiare decisamente». La partita è iniziata, ruoli e competenze non sono più fissi. E il risultato è più aperto che mai.