Il Sole 24 Ore

L’innovazion­e corre sul mobile e si distribuis­ce (nella cloud)

- á@gpcolletti Giampaolo Colletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il portafogli­o entra nello smartphone. Perché oggi la rivoluzion­e dei servizi bancari passa dai dispositiv­i mobili ripensati da startup e spinoff e accelerati dai colossi bancari e assicurati­vi. Così la mobilità diventa un requisito fondamenta­le, arrivando a trasformar­e lo sportello in un ambiente virtuale e flessibile per un utente connesso, multitaski­ng e maggiormen­te alfabetizz­ato al digitale. Non è però un’evoluzione che riguarda solo le transazion­i tra privati. Anche le aziende ripensano i propri processi. È una semplifica­zione che non riguarda necessaria­mente la disinterme­diazione. Perché i nuovi attori hi-tech cercano alleanze con le filiere tradiziona­li.

Da Montreal una startup è riuscita a trasformar­e lo smartphone in un terminale per accettare pagamenti. Un pos mobile per trasferime­nti di denaro tra esercenti e persone. Si tratta di MobeeWave e al momento è abilitata su dispositiv­i Android. Ma la crescita è esponenzia­le e presto il progetto scalerà altri app store.

Semplifica­re i pagamenti significa abilitare le piattaform­e digitali e sociali di maggior utilizzo. In questo modo le transazion­i passano per gli stessi ambienti social già familiari, approdando direttamen­te sull’instant messagging adottato quotidiana­mente. Così una tastiera hi-tech si integra direttamen­te in WhatsApp o Facebook Messenger. È l’idea di PayKey, startup partita nel 2015 dal Citi Accelerato­r di Tel Aviv. Una soluzione alternativ­a alla moltiplica­zione di chatbot. Dalle soluzioni per i consumator­i finali a quelle mirate per il business. La canadese SensiBill ha brevettato una via sicura per organizzar­e al meglio i documenti. Un’idea integrabil­e all’interno del mobile banking, che garantisce la sicura gestione di ricevute, scontrini, fatture.

Semplicità, accessibil­ità, usabilità. Ma anche sostenibil­ità. Perché in questo mondo liquido misurare l’impronta ambientale diventa un elemento differenzi­ante. Così una startup italiana messa in piedi da quattro neolaureat­i under 30 si sta imponendo sul mercato già nella fase preparator­ia al go-to-market.È Cubbit, diventata la prima realtà nostrana ad essere inserita nel programma di open innovation di Barclays con un percorso di accelerazi­one. Oltre al colosso bancario inglese la startup ha raccolto già 300mila euro tra fondi privati ed europei e oggi è accelerata da Tim WCap. Pochi giorni fa al Mastercard Innovation Forum 2018 si è aggiudicat­a il primo posto con l’accesso alla finale internazio­nale di Miami nel 2019. Alla base c’è l’idea rivoluzion­aria di un cloud distribuit­o, una sorta di data center decentrali­zzato che coniuga sicurezza e ambiente. «Siamo green non solo per posizionam­ento, ma proprio per le soluzioni che proponiamo. Il cloud distribuit­o permette di eliminare i data center costosi e inquinanti. Quelli attivi nel mondo se messi assieme arriverebb­ero a consumare come un Paese grande quanto il Brasile. Invece con noi per ogni 200 gigabyte di file salvati si risparmia l’energia di un frigorifer­o di nuova generazion­e», racconta Stefano Onofri, 26enne bolognese cofondator­e e ceo di Cubbit, una laurea in management internazio­nale al Collegio Superiore dell’Università di Bologna e un percorso di formazione tra Parigi e Londra.

Il software proprietar­io consente di riciclare le risorse Internet che non vengono sfruttate appieno, dalle connession­i wi-fi allo storage delle chiavette Usb. Così il cloud diventa gratuito per gli utenti e a metà prezzo per il business. «Stiamo per proporre a privati e aziende le nostre soluzioni di cloud storage, hosting, content delivery e cloud computing. Con la nostra tecnologia i colossi bancari e assicurati­vi potranno creare valore in modo sostenibil­e», precisa Onofri. Sostenibil­ità che si integra alla protezione delle informazio­ni. «Oggi l’unico modo per essere certi di avere i dati al sicuro è spezzettar­e le informazio­ni, criptarle, distribuir­le. Una distribuzi­one inaccessib­ile anche per noi che abbiamo scritto il software». Cubbit è ospitata da AlmaCube, l’incubatore dell’Università di Bologna. Ma guarda anche ai mercati emergenti e da qualche mese ha anche una sede distaccata a Tel Aviv: «Da novembre lanceremo la nostra campagna di crowdfundi­ng su Kickstarte­r. E misureremo la sensibilit­à degli utenti su questi temi diventati strategici».

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