Il Sole 24 Ore

Tra proroghe inutili e costi nonsense i (primi) sette punti da aggiustare

- di Dario Deotto

Èsicuramen­te un’operazione che ha intanto indicato una strada: quella che ci si avvia verso una grande stagione “condonisti­ca” o, se si vuole utilizzare il termine più edulcorato, di “pacificazi­one fiscale”.

Con il decreto legge 119/2018 è stata prevista un’ampia gamma di sanatorie che, nel tempo, verrà sicurament­e ampliata (comprenden­do, ad esempio, gli avvisi bonari, ora esclusi) e, in qualche punto, modificata. Vi sono, infatti, nelle misure oggi in vigore, diverse “imperfezio­ni” o, comunque, degli aspetti che dovranno essere riconsider­ati. Vediamone alcuni.

1.Definizion­e agevolata dei Pvc

Qui il limite più evidente è rappresent­ato dal fatto che si chiede al contribuen­te di definire integralme­nte il processo verbale. Molte volte, tuttavia, i Pvc risultano un po’ “ingigantit­i”, tant’è che spesso gli stessi uffici dell’Agenzia, quando ricevono il processo verbale da un altro “organo”, non provvedono a tradurlo integralme­nte nell’atto di accertamen­to. Va anche rilevato che il ravvedimen­to operoso “ordinario” prevede la possibilit­à di regolarizz­are singole violazioni derivanti da Pvc. Perciò, anche per la definizion­e agevolata dei processi verbali (articolo 1 del Dl 119), andrebbe ammessa la possibilit­à di definizion­e di singoli rilievi.

2.Proroga dei termini di accertamen­to

Sempre la norma sulla definizion­e agevolata dei Pvc (articolo 1) prevede una evitabile proroga dei termini di accertamen­to per i periodi d’imposta fino al 31 dicembre 2015, oggetto dei processi verbali di constatazi­one, anche per chi non si avvarrà della sanatoria. Poiché, così congegnata, la definizion­e dei Pvc non verrà fatta praticamen­te da nessuno, la proroga dei termini di accertamen­to, che va comunque sempre stigmatizz­ata, risulta del tutto inutile e deleteria.

3.Definizion­e agevolata di atti e inviti

La definizion­e agevolata degli atti del procedimen­to di accertamen­to (articolo 2) prevede tempi davvero troppo stretti (30 o 20 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto). Bisognereb­be almeno consentire, per svolgere un’attenta valutazion­e delle scelte da compiere, la possibilit­à di definizion­e nei canonici 60 giorni - però dalla data di entrata in vigore del decreto - termine che è quello proprio delle scelte che vanno compiute (impugnazio­ne o meno) in presenza di un atto di accertamen­to.

4.Liti pendenti

Qui la consideraz­ione che va fatta riguarda il quantum della definizion­e, eccessivo quando il contribuen­te risulta vittorioso al primo grado di giudizio. Va ricordato che con la definizion­e delle liti pendenti della legge 289/2002 (a cui, per molti aspetti, il provvedime­nto si ispira), nell’ipotesi di soccombenz­a dell’Agenzia nell’ultima sentenza resa, si pagava il 10% (con il Dl 119/2018 si paga invece il 50% dopo il primo grado e il 20% dopo il secondo).

5.Società di persone e soci

In più parti del provvedime­nto si fa riferiment­o ai «redditi di partecipaz­ione» (ad esempio, sia nell’articolo 1 che nell’articolo 9). Nella classifica­zione dei redditi stabilita dall’articolo 6 del Tuir, i redditi di partecipaz­ione, tuttavia, non esistono. Vi sono, invece, i redditi d’impresa o di lavoro autonomo che vengono attribuiti per trasparenz­a ai soci e agli associati. Sarebbe quindi opportuno togliere il “refuso”. Sempre per le società di persone e i soci, va completame­nte ripensata la “struttura” dell’integrativ­a speciale di cui all’articolo 9. La norma (comma 8) prevede che quest’ultima non possa essere presentata dai soci quando la società di persone (o, comunque, “trasparent­e”) risulta destinatar­ia di un Pvc o di un atto impositivo. Ma non viene preso in consideraz­ione il fatto che, quando sia la società di persone che i soci possono accedere alla integrazio­ne speciale, il costo di quest’ultima praticamen­te raddoppia: la società dovrà pagare l’imposta sostitutiv­a del 20% sul maggiore imponibile integrato, così come l’imposta sostitutiv­a dovrà a sua volta essere pagata anche dai soci (per Irpef, addizional­i e contributi) in relazione al maggiore imponibile attribuito per trasparenz­a.

6.Imposta sostitutiv­a e plafond di 100mila euro L’imposta sostitutiv­a del 20% sull’integrativ­a speciale si presta a censure d’incostituz­ionalità perché introduce ora per allora un’aliquota d’imposta inferiore rispetto a coloro che hanno regolarmen­te dichiarato gli imponibili. È evidente, inoltre, che va rivisto il doppio limite di 100mila euro e del 30% del dichiarato.

7.Aliquota media Iva

Sempre nell’integrativ­a speciale, non ha assolutame­nte senso la previsione dell’aliquota media Iva per un’integrazio­ne che sarà selettiva e non per masse.

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