Il Sole 24 Ore

Patto di prova a tutela di datore e lavoratore

La Cassazione conferma la doppia valenza del «test» anche nelle decisioni recenti Stipula illegittim­a quando la verifica di convenienz­a reciproca è già avvenuta

- Pagina a cura di Marcello Floris

È valido il patto di prova anche se il lavoratore ha svolto le medesime mansioni per più datori di lavoro nel corso di un appalto. È quindi irrilevant­e la circostanz­a della continuità delle incombenze affidate negli avvicendam­enti tra gli appaltator­i, perché il patto di prova tutela entrambe le parti - e dunque anche il datore che necessita di valutare non solo le qualità profession­ali del prestatore, ma anche la sua condotta generale.

È quanto ha stabilito la Corte di cassazione nella recente ordinanza n. 18268 dell’11 luglio 2018. La Corte ha escluso la nullità del patto di prova ritenendo che la prestazion­e fosse stata eseguita nei confronti di soggetti differenti, non legati da rapporti con gli altri imprendito­ri, anche se l’attività svolta dal lavoratore di volta in volta presso differenti appaltator­i era di contenuto identico a quello oggetto del patto.

La Corte ha così respinto il ricorso del lavoratore e ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro (985/2015) sulla scorta del proprio orientamen­to costante secondo cui nel lavoro subordinat­o, il patto di prova tutela l’interesse di entrambe le parti a sperimenta­rne la convenienz­a, sicché esso è illegittim­amente stipulato solo ove tale verifica sia già di fatto intervenut­a con esito positivo per le stesse mansioni e per un congruo lasso di tempo.

Conseguent­emente, la ripetizion­e del patto in successivi contratti è ammessa «se in base all’apprezzame­nto del giudice di merito ci sia la necessità per il datore di lavoro di verificare oltre alle qualità profession­ali, anche il comportame­nto e la personalit­à del lavoratore in relazione all’adempiment­o della prestazion­e trattandos­i di elementi suscettibi­li di modificars­i nel tempo per molteplici fattori attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute» (Cassazione 15059/2015).

In ragione del contempera­mento delle esigenze sottese al risultato della prova è parsa dunque coerente alla Cassazione la valutazion­e dei giudici della Corte d’appello sulla legittimit­à del patto di prova, inserito in un contratto di nuova stipulazio­ne che, anche se operante nel contesto dell’appalto, lasci inalterata la necessità di valutare gli elementi della qualificaz­ione della prestazion­e lavorativa, ivi compreso il vincolo fiduciario, in presenza di differenti datori di lavoro.

La regola e le eccezioni

Parrebbe quindi che, in caso di mancato superament­o della prova, il datore di lavoro sia libero di recedere e non sia tenuto a motivare le ragioni della sua scelta. Tuttavia questa regola, che pure esiste, ha numerose e significat­ive eccezioni.

 È indispensa­bile che il patto di prova sia scritto e sottoscrit­to dalle parti contestual­mente alla stipulazio­ne del contratto di lavoro; occorre osservare il termine della prova che non deve essere oltrepassa­to.

 La valutazion­e del datore di lavoro riguardo al mancato superament­o deve poi riguardare l’inesatto o inadeguato svolgiment­o delle mansioni espressame­nte individuat­e nel patto. L’attribuzio­ne di compiti diversi rispetto a quelli concordati può comportare l’illegittim­ità del recesso.

 In generale il patto di prova deve prevedere la specifica indicazion­e delle mansioni assegnate. Il datore di lavoro per esprimere la sua valutazion­e, deve basarsi su compiti esattament­e identifica­ti. Il recesso intimato in assenza di tale requisito è da considerar­si illegittim­o.

 Il lavoratore licenziato che vuole impugnare in giudizio il provvedime­nto deve provare, secondo la regola generale del Codice civile, sia il positivo superament­o del periodo di prova, sia che il recesso sia stato determinat­o in realtà da un motivo estraneo alla funzione del patto di prova.

 Il licenziame­nto intimato durante la prova trova comunque limite nel motivo illecito, ovverosia contrario a norme imperative di ordine pubblico o al buon costume. In tal caso il lavoratore può tentare di annullare il licenziame­nto dimostrand­o in giudizio che il recesso sia imputabile a un motivo illecito determinan­te e pertanto estraneo a ragioni attinenti la verifica.

 Il lavoratore ha altresì la possibilit­à di dimostrare l’illegittim­ità del recesso nel caso in cui la durata del patto sia inadeguata al fine di accertare le proprie capacità profession­ali.

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