IL PROBLEMA È A BERLINO, PARIGI E LONDRA
Le grandi banche italiane, come risulta anche dalla posizione presa da Banca d’Italia, tirano un sospiro di sollievo. Dopo i sacrifici fatti per allinearsi alle richieste della Bce sono uscite pressoché indenni dall’ultima tornata di ieri degli stress test. Il risultato è ancora più significativo perché per molto tempo l’attenzione e la severità dei controlli è stata sulla qualità del credito (mettendo così sotto tiro gli istituti italiani) piuttosto che sulle attività della finanza bancaria (che invece vedono molto esposte le banche tedesche, francesi e inglesi).
La novità è che finalmente le autorità di vigilanza europee, come aveva anticipato il presidente della Bce, Mario Draghi, hanno cominciato ad aggiornare i criteri di verifica e controllo correggendo scelte inaccettabili che favorivano i Paesi più forti d’Europa. I risultati cominciano a essere evidenti. Nomi ben conosciuti del credito europeo, come diamo conto nei servizi pubblicati a pagina 2 e 3, hanno ottenuto punteggi più bassi delle banche italiane arretrando significativamente rispetto ai test precedenti.
Così hanno pagato dazio non solo Deutsche bank e Commerzbank, ma anche la francese Société Générale e le banche inglesi, assai penalizzate. L’auspicio è che si vada fino in fondo. Sia per una questione elementare di equità, che rende inaccettabile la penalizzazione delle banche italiane. Sia perché la filiera dei titoli cosiddetti opachi custoditi in pancia delle banche tedesche, inglesi e francesi, come spiega nell’editoriale a pagina 12 l’economista Marco Onado, rappresenta una bomba con la miccia innescata che potrebbe farci tornare indietro di dieci anni da un momento all'altro. La verità è che, nonostante gli sforzi fatti per rafforzare il sistema bancario occidentale, il pericolo di una nuova, grande crisi finanziaria è tutt’altro che scongiurato. E il problema non è l'Italia.