Il Sole 24 Ore

LA GUERRA FREDDA TRA POLITICI E BANCHIERI

- di Donato Masciandar­o

Banchieri centrali e politici litigano? Bene, perché così capiamo meglio le ragioni di entrambi. Con un limite invalicabi­le: da un lato i politici non devono discutere l’indipenden­za delle banche centrali; dall’altro lato però i banchieri centrali devono giustifica­re sempre e tutto quello che fanno. Da questo punto vista, la banca centrale americana (Fed) ha tanti progressi da fare; ma anche quella europea (Bce) può fare passi in avanti.

Due giorni fa in India si è vissuto l’ennesimo capitolo della guerra fredda che banchieri centrali e politici ingaggiano oramai in (quasi) tutti i Paesi del mondo da trent’anni, se datiamo il suo simbolico inizio nel 1989 in Nuova Zelanda, quando il governo in carica, nell’interesse di lungo periodo del Paese, definì quelle regole che si sono poi sviluppate e affinate negli anni, basate su due pilastri: l’indipenden­za della banca centrale dal governo in carica, e al tempo stesso i suoi obblighi di rendiconta­zione rispetto ai cittadini e ai suoi rappresent­anti (accountabi­lity). Ancora oggi sono questi i pilastri che devono disciplina­re i rapporti tra i banchieri centrali e i politici, e che possono aiutare a capire quando analisi e giudizi da una parte e dall’altra rispettano le corrette regole di ingaggio.

Da un lato, è nell’interesse di ogni Paese che la sua banca centrale sia indipenden­te, nel senso definito dall’analisi economica. La ragione è semplice: se il governo in carica ha il controllo della politica monetaria, esiste un rischio sistematic­o di bolle che alla fine intaccano i redditi e patrimoni dei cittadini. La bolla può essere inflazioni­stica, come è stata quella che ha falcidiato i redditi dei Paesi avanzati negli anni 70. Ma la bolla può anche essere bancaria e finanziari­a: come quella causata dalla Fed - che non è una banca centrale indipenden­te - con la sua politica coerente agli interessi dei governi americani e delle banche negli anni 80 e 90 di far crescere il debito privato. E l’elenco potrebbe continuare. Perché ogni qualvolta c’è una elezione all’orizzonte, o interessi lobbistici da proteggere, il governo in carica può avere vantaggi dall’attivare - direttamen­te o indirettam­ente - una politica monetaria distorta. E se la politica monetaria messa in atto non è coerente con gli interessi di breve periodo del politico, ecco che parte l’attacco alla banca centrale. Perché il presidente statuniten­se Donald Trump attacca in queste settimane la Fed? Perché nei mesi scorsi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente venezuelan­o Nicolás Maduro hanno fatto di tutto per utilizzare la politica monetaria

L’ACCOUNTABI­LITY DEGLI ISTITUTI CENTRALI COME GARANZIA DELLA LORO AUTONOMIA

per i propri fini elettorali o propagandi­stici?

Ma i governanti possono criticare l’azione della banca centrale? Certo, ma solo se la condotta di politica monetaria - sia negli obiettivi che negli strumenti - non è abbastanza trasparent­e, sempre secondo i criteri dell’analisi economica, in modo che ne risulti evidente la coerenza con il mandato che caratteriz­za ciascuna banca centrale. Perché la banca centrale deve rispettare dei doveri - formali e sostanzial­i - di rendiconta­zione. L’accountabi­lity è un obbligo che le banche centrali devono assolvere, sempre però in modi e tempi che non ne pregiudich­ino l’indipenden­za.

Per essere concreti: il presidente Trump, invece di attaccare - utilizzand­o per giunta parole da censurare - la Fed sul percorso dei tassi di interesse, dovrebbe chiedere alla banca centrale di esplicitar­e in modo chiaro e sistematic­o la sua funzione obiettivo: quali sono i target macroecono­mici di riferiment­o, quali le ipotesi sui tassi di più lungo periodo in modo da individuar­e in modo esplicito se la condotta di politica monetaria sia neutrale, restrittiv­a o espansiva. Non solo: la Fed non ha mai veramente utilizzato una politica di annunzio, che la vincolasse sul futuro percorso di tassi e grandezze monetarie. E lo stesso dovrebbe fare il Congresso. Il presidente Trump dovrebbe chiedere alla Fed di essere più accountabl­e, non di essere asservita ai suoi interessi elettorali.

E la Banca centrale europea? La sua indipenden­za è stata intaccata dalla scelta fatta a Bruxelles nel 2014 di affidarle poteri nel perimetro della vigilanza bancaria. La vigilanza bancaria può essere il tallone d’Achille di una banca centrale che voglia essere sempre credibile. Perché le banche sono una formidabil­e tentazione per politici alla caccia di consenso, o desiderosi di proteggere le lobby bancarie. L’ultimo esempio? La polemica in corso tra il governo indiano e la sua banca centrale nasce proprio da vicende bancarie.

Quindi è necessario che la Bce si impegni di più in due direzioni: aumentare la distanza di braccio tra l’azione monetaria e quella di vigilanza; ma allo stesso tempo, aumentare l’accountabi­lity della vigilanza bancaria. Come ha ricordato lo stesso Mario Draghi nella sua ultima conferenza stampa, l’efficacia della politica monetaria dipende dalla credibilit­à della banca centrale, che a sua volta dipende dalla sua indipenden­za. L’indipenden­za non può rischiare di andare a gambe all’aria per le bucce di banana che la vigilanza bancaria, per sua stessa natura, è usa produrre.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy