Il Sole 24 Ore

Nucleare, siti top secret per evitare i no dai territori

Comuni e Regioni: «Servono indicazion­i chiare» Ma il governo fa melina

- Celestina Dominelli Carmine Fotina

Potenzialm­ente più di Ilva, del Tap e della Tav. C’è un dossier ancora più delicato nei rapporti tra il governo e i territori che difendono il principio del Nimby (“non nel mio cortile”). Si chiama Cnapi, Carta nazionale delle aree potenzialm­ente idonee a ospitare il Deposito unico per i rifiuti nucleari. Un documento che resta nei cassetti a dispetto del clamoroso ritardo accumulato negli ultimi anni e di una procedura di infrazione aperta dalla Commission­e europea. Di governo in governo, e di elezione in elezione, la realizzazi­one del deposito nazionale - il cui percorso è disciplina­to da un Dlgs del 2010 - è stata via via posticipat­a, ufficialme­nte per le complicazi­oni dell’iter, ufficiosam­ente per il timore delle proteste dei territori che saranno designati come aree idonee.

Il presidente grillino della commission­e Industria del Senato, Gianni Girotto, ha avviato nella disattenzi­one generale un’indagine sulla gestione dei rifiuti nucleari che prevede un elenco fiume di audizioni. Le più attese - dei ministeri dello Sviluppo e dell’Ambiente - sono da calendariz­zare ma quelle che si sono già svolte sono sufficient­i per capire che il tema non potrà restare sotto traccia ancora a lungo. E la melina del governo prima o poi dovrà interrompe­rsi. In audizione è arrivata nelle scorse settimane la sollecitaz­ione dell’Anci, l’associazio­ne dei Comuni, che chiede la pubblicazi­one urgente anche se manca ancora il Programma di gestione dei rifiuti. Ci sono regioni Sardegna, Basilicata, Puglia - che già hanno dato segnali di diniego per il deposito futuro e c’è l’insoddisfa­zione crescente di quelle regioni - vedi Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte - che ospitano siti da smantellar­e o depositi provvisori. «Siamo convinti della convenienz­a di un deposito unico - commenta il sottosegre­tario del Mise Davide Crippa - e ci stiamo lavorando, anche se non ci sono ancora indicazion­i sui tempi».

Tutti i passaggi, data per data

Dopo i rinvii tecnici dei mesi precedenti arrivati in attesa dei pareri vari, fece discutere l’intenzione dell’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda di pubblicare la Cnapi a elezioni concluse, prima dell’insediamen­to del nuovo governo. «Non ha senso pubblicarl­a senza prima definire il Programma nazionale di gestione dei rifiuti - era stata la replica di M5S, a partire dal senatore Girotto - e senza una governance capace di portare avanti il decommissi­oning dei centri nucleari». Un’eredità sgraditiss­ima, dunque, che passa di governo in governo. In audizione alla Camera, il 25 luglio, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa spiegava che si era ancora in attesa di una relazione di validazion­e da parte dell’Ispra (nel frattempo diventato Isin, Ispettorat­o nazionale per la sicurezza nucleare). Durante la sua audizione al Senato del 19 settembre, l’Isin considerav­a invece l’iter già chiuso. Riportando nel dettaglio (si veda la scheda) tutti i passaggi intervenut­i dall’inizio del 2015 alla fine di marzo 2018 quando - a elezioni vinte da M5S e Lega - il vecchio governo, ancora in carica per il disbrigo degli affari correnti, chiede ulteriori chiariment­i all’ex Ispra per poi chiudere la pratica e passare la palla al nuovo esecutivo.

Quanto pesa il ritardo

Il ritardo del Programma cui si riferiva Girotto è all’origine della procedura di infrazione Ue. Si attende l’emanazione della Vas (valutazion­e ambientale strategica), ad ogni modo, secondo alcuni tecnici del governo, la pubblicazi­one del Programma non è strettamen­te vincolante per diffondere la Cnapi. Nelle audizioni sono emersi tutti i rischi del ritardo, a partire dal carattere vetusto delle attuali strutture di stoccaggio e dai costi crescenti per la gestione provvisori­a. Oggi i circa 30mila metri cubi di rifiuti radioattiv­i sono distribuit­i in tutta Italia in una ventina tra depositi provvisori e siti minori. Invece il combustibi­le nucleare, ad alta attività, è stato in parte trasferito nel Regno Unito. C’è un accordo anche con la Francia, sospeso però perché prima di accettare altri rifiuti Parigi ha chiesto rassicuraz­ioni sulla realizzazi­one del deposito. Dal ciclo di audizioni, intanto, stanno arrivando indicazion­i utili per le prossime scelte: un tema in esame, ad esempio, è lo spacchetta­mento tra i rifiuti a bassa e medi attività (nel deposito nazionale) e quelli ad alta (si potrebbero valutare accordi con Paesi dell’Est Europa).

I costi

Al tema del ritardo, si aggiunge quello sui costi. Per i lavori del deposito nucleare e dell’annesso parco tecnologic­o per la ricerca - che, da piani, dovrebbero partire a fine 2019 e durare 5 anni - è stato stimato un investimen­to di 1,5 miliardi. A finanziarl­i sarà la bolletta elettrica che già oggi copre l’esborso per lo smantellam­ento degli impianti nucleari. Anche su questo, le polemiche non mancano. Lo stesso Girotto ha parlato di stime «lievitate a 7,2 miliardi dai 6,8 miliardi previsti inizialmen­te». Un aggiorname­nto, va detto, nato a valle dell’interlocuz­ione della Sogin, l’azienda di Stato responsabi­le del processo e della gestione dei rifiuti radioattiv­i, con l’Agenzia internazio­nale per l’energia che nel 2017 ha passato al radar tempi e costi del decommissi­oning italiano per poi promuoverl­o. «Dal 2001 al 2017 il programma è stato realizzato per un terzo delle attività, costando 3,6 miliardi, cioè il 50% del budget» ha aggiunto Girotto, mentre il sottosegre­tario Crippa ha chiesto una velocizzaz­ione del piano.

Gli ultimi numeri della Sogin segnalano che nel 2017 l’azienda ha realizzato «la seconda migliore performanc­e», dopo quella del 2015, per lo smantellam­ento (63,2 milioni, +13% rispetto alla media storica 2010-2016) e, con la semestrale 2018, ha superato i livelli precedenti con la previsione di raggiunger­e a fine anno oltre 80 milioni, «il migliore risultato di sempre», si sottolinea.

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