Il terzo tempo di Donald con i mercati
Del resto non è facile cercare di influenzare i mercati. Nemmeno per il presidente degli Stati Uniti d’America. che dall’elezione fino a poche settimane fa sembrava avere un rapporto privilegiato, grazie ai generosi tagli fiscali alle imprese e all’onda lunga della crescita e del boom del mercato del lavoro. L’apparente svolta sulla guerra commerciale con la Cina serviva soprattutto a “massaggiare” le Borse in vista del voto. Trump non poteva presentarsi all’elettorato con il ricordo vivo del peggior ottobre dal 2008 appena registrato a Wall Street. Volubili per natura, i grandi investitori sembravano aver dimenticato le statistiche del boom americano quando le trimestrali di alcuni gruppi industriali erano andate peggio del previsto. Da lì la somatizzazione delle ansie mai sopite nei confronti della trade war in corso con la Cina, dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed e i timori di fondo sulla natura prociclica delle misure di Trump, che hanno comunque gonfiato debito e deficit. A ottobre era così tornato quel sentimento di diffidenza che i mercati avevano nutrito nei suoi confronti durante la campagna elettorale, quando Wall Street tifava unicamente per Hillary Clinton.
Una volta alla Casa Bianca è stata invece una luna di miele durata quasi due anni. Ora siamo al terzo tempo tra Donald e i mercati, al tentativo di smussare qualche asperità e frizione di troppo sul commercio mondiale. La partita però si è fatta più difficile e dopo il voto di martedì sapremo quanto.