Stop dei giudici agli aumenti di capitale in criptovaluta
Secondo il Collegio non è possibile attribuire al bene «valore effettivo e certo»
La Corte d’appello di Brescia conferma e amplia la motivazione della bocciatura già emessa in primo grado.
Criptovaluta “autoreferenziale”, priva dei requisiti fondamentali per essere considerata adatta al conferimento in una Srl. La Corte d’Appello di Brescia conferma il “niet” dei giudici di primo grado sull’aumento di capitale “atipico” di una società del posto (si veda «Il Sole 24 Ore» del 31 luglio) ma, dopo aver bocciato il bene specifico - «One Coin» - per inidoneità (assenza di un mercato di riferimento, inidoneità all’esecuzione, inidoneità alla valutazione) estende la motivazione a profili più generali, segnando unno vat ivo punto di arresto giurisprudenziale. Arresto destinato in ogni caso ad aprire il dibattito dentro e fuori le Corti sull’iter logico seguito dal Collegio per confermare il diniego della Camera di commercio bresciana al riconoscimento della cripto valuta .« Indiscussa la funzione di pagamento », perla Corte le cripto hanno caratteristiche strutturali di beni mobili con «credenziali di accesso», eppure utilizzabili per acquisti, pur in un mercato ristretto. Pertanto non sono assimilabili ai beni e servizi scambiati mediante moneta, in quanto le cripto sono la stessa unità di misura dello scambio, e non il valore sottostante. Quindi il loro valore, dice la Corte, non può essere determinato da perizie (articolo 2264 e 2265 del Codice civile) ma, aggiunge anche, non esiste in natura «un sistema di cambio stabile e agevolmente verificabile», come invece per le monete classiche. Quindi «non è possibile attribuire alla criptovaluta un valore (cioè in euro) effettivo e certo». Rispetto al provvedimento di primo grado, la Corte fa di tutta l'erba un fascio, nonostante siano ormai svariati i casi in cui alcuni beni sono utilizzati sia come elementi di scambio che come valore: si pensi ad esempio all’oro o agli strumenti finanziari, pacificamente beni conferibili (con perizia). Con questa argomentazione, che non distingue chiaramente tra “denaro” “moneta” e “sistema di pagamento”, si allontanano le criptovalute dagli altri beni o «attivi suscettibili di valutazione economica» in cui il valore a tutela dei terzi è asseverato dal perito. La Corte asserisce che non esiste alcun «sistema di cambio stabile e agevolmente verificabile» come per le valute aventi corso legale, realtà la cui esistenza è invece facilmente verificabile su internet.
Per questo percorso si arriva così a un “tertium genus” di beni inconferibili. A quali altri casi si può applicare? Se si utilizzassero i buoni benzina come unità di scambio, per questo cesserebbero di essere «suscettibili di valutazione economica» e, divenuti “denaro” (ma non ufficializzato!) non potrebbero più essere oggetto di conferimento in srl? O forse non sono conferibili le valute, pur legali, iperinflazionate? La conferibilità diretta non implica che non si possa procedere al conferimento “indiretto” del credito vantato verso un intermediario (magari un istituto di pagamento europeo, regolamentato) per la consegna di un determinato quantitativo, ad esempio, di bitcoin (o di altra criptovaluta “vera”: in questo caso non pare potersi obiettare la validità della perizia, se logicamente motivata. E anche l’argomento della natura giuridica dell’oggetto del conferimento sarebbe inutilizzabile: un credito resta un credito.