Stress test, banche italiane promosse
Il verdetto Eba promuove 48 banche europee: in due anni più resilienti agli shock Disco verde a Intesa, Ubi, Banco Bpm e UniCredit Bankitalia: in linea con Ue Per Deutsche e altre due tedesche leva finanziaria oltre i massimi consentiti
«Le 33 principali banche sotto la supervisione diretta della Bce sono diventate più resilienti a shock finanziari negli ultimi due anni». Così la Bce commenta il risultato dello stress test Eba di ieri sera, cui sono stati sottoposti in totale 48 istituti europei. «Nonostante uno scenario avverso più severo che nel 2016 il Cet1 medio dopo un periodo di stress di tre anni è pari al 9,9%, superiore all’8,8% di due anni fa».
Per l’Italia disco verde a Intesa, UniCredit, Ubi e Banco Bpm. Per tutti i quattro istituti inclusi nel campione, nota Bankitalia, la riduzione media ponderata del Cet1 ratio nello scenario avverso è in linea con la media di quelle europee. «I risultati confermano il rafforzamento del sistema bancario europeo». UniCredit e Bpm sono state inserite dall’Eba in una lista di 25 banche che potrebbero essere costrette a ridurre la distribuzione dei dividendi.
Dal rapporto Eba sui test emerge tra l’altro che importanti banche britanniche e tedesche subirebbero colpi pesanti da un eventuale shock. In particolare in Germania tre banche (Deutsche Bank, Norddeutsche Landesbank, Bayerische Landesbank) mostrano nello scenario avverso un leverage ratio inferiore al 3%, e quindi superiore ai massimi consentiti.
Finché non si inventerà qualcosa di più efficace, gli stress test rimarranno pur sempre lo strumento per eccellenza per verificare la tenuta delle banche in scenari di crisi. Usati negli Stati Uniti come in Europa, perfettibili ma non inutili, gli stress test consentono di analizzare le banche con gli stessi “occhiali”: modelli e metriche che garantiscono un’uniformità di giudizio, e quindi piena comparabilità dei risultati. Ma la staticità dei modelli basti pensare che gli esami si basano sui dati di fine 2017, e quindi non considerano eventuali miglioramenti in corso d’anno - rappresenta anche il limite dell’esercizio. Un dazio che scontano soprattutto le banche italiane, che da tempo sono in una condizione di ristrutturazione continua.
Ciononostante, le quattro banche italiane coinvolte negli stress test di quest’anno - Intesa Sanpaolo,Unicredit, Ubi e BancoBpm - dimostrano come il settore italiano stia facendo importanti progressi. Basta guardare all’impatto medio sul capitale generato dallo scenario estremo, che appare sempre più contenuto rispetto alle prove del passato. Il dato è sostanzialmente in linea alla tornata del 2016 e ben più basso rispetto al 2014. Un esito apparentemente paradossale, se si considera che i modelli applicati e gli scenari macroeconomici ipotizzati sono i più duri di sempre, con una deviazione del Pil Ue cumulata dell’8,3% rispetto alle attese. Eppure i dati sono chiari. Secondo i calcoli di Prometeia, il calo del Cet 1 ratio è passato da 363 punti base del 2014 ai 339 del 2016 (al netto di Mps) ai 345 del 2018. Se l’impatto generato sulle banche si sta rivelando progressivamente meno forte (e ben più basso di quello sostenuto da banche britanniche e tedesche), molto si deve al percorso di progressivo risanamento avviato negli ultimi anni dal sistema bancario domestico su due direttrici. La prima è stata quella di un progressivo aumento della patrimonializzazione. In questo senso il Cet 1 ratio medio delle quattro banche oggetto degli stress test è salito dal 10,25% del 2013 al 13,24% del 2017. In parallelo, in questi anni al rafforzamento del capitale si è accompagnato un progressivo derisking di portafoglio: la cosiddetta probabilità di default, parametro usato per valutare la rischiosità del portafoglio crediti, è scesa dal 4,2% all’1,41% dello scorso anno. «Le banche sono più attrezzate rispetto al passato» spiega Lea Zecchino, partner della società di consulenza Prometeia. E «anche a fronte di moltiplicatori peggiori che vengono dai modelli “challenge” della Bce - aggiunge la consulente - si registra un minore scivolamento dei crediti da vivi a deteriorati, e questo comporta minori rettifiche, minor riduzioni dei crediti in bonis, e di conseguenza, una minor contrazione del margine di interesse». Dall’esercizio di stress test che accompagnò la nascita del Ssm nel 2014 a questo del 2018 «il livello di capitalizzazione delle banche europee è cresciuto significativamente e il progresso registrato dalle banche italiane è simile per entità - sottolinea Giovanni Pepe, partner di Kpmg - ma lo sforzo è stato molto più intenso per l’enorme quantità di perdite su crediti che le nostre banche hanno dovuto spesare nel periodo».
Rimane la domanda di fondo: quanto gli stress test servono per capire i talloni d’achille del sistema bancario? Di sicuro gli esercizi «sono utili per la mole di dati forniti alla Vigilanza e al mercato», ma le prove sotto stress «vanno comunque lette con attenzione», sottolinea Luigi De Sanctis, partner della società di consulenza Oliver Wyman, perchè la «rigidità richiede una lettura non semplicistica dei risultati». Il riferimento è ad alcune premesse di fondo degli esercizi, come il fatto di analizzare i bilanci di fine 2017, senza considerare le operazioni straordinarie varate nel corso del 2018 (si pensi alle maxi cartolarizzazioni varate dalle banche italiane, che sono state ignorate), elemento che ha influito in maniera punitiva sui risultati del test delle italiane. La metodologia statica funziona bene per le banche in condizioni stazionarie, ma si rivela invece penalizzante per quelle in fase di trasformazione. Non è un caso, del resto, che Mps, sotto piano di ristrutturazione concordato con Bruxelles, sia stata esonerata dall’esame. O che la spagnola Bankia sia riuscita a schivare gli stress test nelle ultime settimane, appellandosi all’integrazione con Bmn e alla scarsa attendibilità dei dati di fine 2017. «Le banche italiane, che peraltro escono molto bene dall’esercizio - aggiunge De Sanctis – ne sarebbero uscite ancora meglio in assenza di tali rigidità». Un affinamento di alcuni aspetti metodologici, insomma, «potrebbe rendere i risultati di più agevole lettura».
á@lucaaldodavi