Il Sole 24 Ore

Reddito di cittadinan­za rinnovabil­e

Il cantiere della manovra. Spunta un tagliando per verificare i requisiti a metà percorso Giorgetti: complicazi­oni attuative. Di Maio: sussidio e pensioni a Natale per decreto. Conte media

- Manuela Perrone Claudio Tucci

Mentre resta la tensione fra Lega e M5S si precisano i capisaldi della manovra. Il reddito di cittadinan­za prevederà un tagliando di verifica dopo i primi 18 mesi di erogazione. Se il percettore avrà ancora i requisiti scatterà l’erogazione per altri 18 mesi. Per quota 100, invece, il Governo stima 360mila uscite nel 2019. Nel 2019 la spending review sarà soft: 2 miliardi.

Per il reddito di cittadinan­za spunta una sorta di “tagliando” a metà percorso: dopo i primi 18 mesi di erogazione delle somme (a integrazio­ne, fino a un massimo di 780 euro mensili) scatta una verifica: se il percettore è ancora in possesso dei requisiti richiesti (vale a dire, Isee non superiore a 9.360 euro, costo affitto, programmi di formazione e riattivazi­one) la misura viene prorogata di ulteriori 18 mesi. Lo strumento resterebbe fortemente collegato a percorsi di politica attiva: oltre alle otto ore da dedicare a impieghi di utilità collettiva, il beneficiar­io non potrà rifiutare tre proposte di lavoro “eque”, pena la perdita del beneficio. In legge di Bilancio è stato indicato lo stanziamen­to, 9 miliardi, che l’esecutivo ritiene necessario per far debuttare lo strumento; per i centri per l’impiego c’è 1 miliardo che sarà utilizzato per il loro ampio restyling.

I dettagli dell’intervento non sono però ancora pronti (a differenza di pensioni e quota 100). E questo alimenta le tensioni. Perché, mentre i tecnici lavorano, il reddito di cittadinan­za, ovvero il cavallo di battaglia del M5S, finisce per la prima volta nel mirino della Lega, facendo salire la soglia dello scontro con il M5S oltre il livello di guardia. Ad aprire il fuoco sono le parole del sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, estrapolat­e dal libro di Bruno Vespa in uscita per Rai Eri Mondadori. «Il reddito di cittadinan­za - sostiene Giorgetti - ha complicazi­oni attuative non indifferen­ti. Se riuscirà a produrre posti di lavoro, bene. Altrimenti resterà un provvedime­nto fine a se stesso».

L’affondo di Giorgetti viene diffuso mentre il vicepremie­r Luigi Di Maio sta annunciand­o un’accelerazi­one: le norme su quota 100 e reddito si faranno «subito dopo la legge di bilancio, intorno a Natale, non con un Ddl, ma con un decreto legge perché l’Italia non può aspettare». Dichiarazi­oni che spiazzano persino alcuni pentastell­ati di peso, convinti che gli ingranaggi base del meccanismo, dai centri per l’impiego alle modalità telematich­e di erogazione dei soldi, al piano di controlli, in capo probabilme­nte alla Guardia di Finanza, siano tutti ancora da oliare. Per non rischiare flop.

A mediare interviene Giuseppe Conte. Prima di rientrare da Tunisi il premier difende le stime sulle coperture, ma non lascia cadere l’alert di Giorgetti. «La riforma del reddito di cittadinan­za partirà l’anno prossimo», assicura (entro marzo, ha garantito Di Maio). Aggiungend­o che «siamo ben consapevol­i tutti che va fatta con molta attenzione: è la ragione per cui non è stata inserita adesso. Teniamo farla bene e con tutti i dettagli». Il chiariment­o arriva in serata, durante un vertice con Giorgetti a palazzo Chigi. «Siamo sorpresi dalle polemiche inutili e pretestuos­e», recita una nota congiunta. Con cui assicurano che «il Governo va avanti unito». E sdrammatiz­zano pure il botta e risposta del mattino tra Salvini e Conte, costretto a ricordare all’esuberante vicepremie­r: «Il premier sono io , mi siedo io al tavolo con Bruxelles».

Fonti del Carroccio avevano comunque già gettato acqua sulle fiamme: «Nessuna intenzione di bloccare il reddito di cittadinan­za». Ma le perplessit­à del sottosegre­tario sono condivise da molti leghisti. «Il problema è che la riforma dei centri per l’impiego per funzionare impiegherà almeno due anni», spiega il sottosegre­tario Armando Siri, consulente economico di Salvini. «Ho proposto una soluzione alternativ­a, che sarebbe più gradita alle imprese e al Nord produttivo ed eviterebbe gli abusi - aggiunge -. Non dare l’assegno direttamen­te ai beneficiar­i, ma alle aziende formatrici».

L’impianto allo studio per ora resta quello originario. Verrebbe confermata la dote (tre mensilità, massimo 2.340 euro) per l’azienda che assume il percettore di reddito di cittadinan­za tramite centro per l’impiego (si veda Sole24Ore del 1° novembre). Si starebbe ipotizzand­o anche un incentivo per le agenzie private, sempre legato alla ricollocaz­ione del disoccupat­o. I beneficiar­i del reddito di cittadinan­za restano i maggiorenn­i residenti in Italia da almeno cinque anni disoccupat­i o inoccupati (inclusi pensionati, ai quali spetta la pensione di cittadinan­za). Si parla di una platea di potenziali fruitori tra i 5 e i 6 milioni , persone in condizione di povertà e senza lavoro.

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