Il Sole 24 Ore

L’ECONOMIA IMPONE ALL’EUROPA DI CAMBIARE

- di Sergio Fabbrini

Dopo domani si terranno le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti. Riguardano l’elezione delle due camere del Congresso, oltre che di molte cariche statali e locali. Attualment­e, in entrambe le camere, la maggioranz­a è controllat­a dai repubblica­ni alleati con il presidente Trump. Attraverso il cosiddetto “governo unificato”, Donald Trump ha potuto introdurre (dopo la sua elezione alla presidenza nel 2016) cambiament­i radicali nella politica internazio­nale del Paese. Anche se i democratic­i conquister­anno la maggioranz­a alla Camera, tuttavia, quella politica non verrà rovesciata. Come ha scritto Robert Jervis, indietro non si torna più. Trump ha accelerato una trasformaz­ione del sistema internazio­nale che era già in corso. Quali sono gli effetti di tale trasformaz­ione per l’Europa? Consideria­mo prima il mondo e poi il nostro continente.

Nel bene e nel male, gli Stati Uniti determinan­o gli equilibri mondiali. Trump ha messo in discussion­e il sistema multilater­ale che gli stessi Stati Uniti avevano costruito nel secondo dopo-guerra. Il sistema multilater­ale (costruito intorno all’Onu) ha rappresent­ato una discontinu­ità storica nell’organizzaz­ione del sistema internazio­nale (sia economico che politico). Esso si è basato sull’inclusione degli interessi nazionali nei vari regimi regolativi internazio­nali (economici, come l’Organizzaz­ione mondiale dei commerci o Omt, oppure politici, come le Convenzion­i sui diritti umani dell’Onu). L’apertura dei mercati e la difesa dei diritti umani hanno costituito l’architrave di ciò che è stato chiamato, ad esempio da John Ikenberry, l’ordine internazio­nale liberale. Certamente, le regole di funzioname­nto di quel sistema erano coerenti con i valori e gli interessi della potenzagui­da, gli Stati Uniti.

Tuttavia, questi ultimi hanno guidato il sistema attraverso l’egemonia piuttosto che la dominazion­e (anche se sono ricorsi alla seconda quando non erano in grado di usare la prima). La fine della Guerra Fredda (19891992) ha consentito di estendere il sistema multilater­ale alla parte non-occidental­e del mondo, che ne ha accettato pienamente la logica. Tant’è che la Cina ha operato per entrare nell’Omt, piuttosto che per creare un’organizzaz­ione alternativ­a. Il sistema multilater­ale ha retto sul piano esterno, ma ha perso consenso sul piano interno. Attraverso l’apertura degli scambi commercial­i, e facendosi carico di consistent­i disavanzi commercial­i, gli Stati Uniti hanno favorito lo sviluppo economico ed industrial­e di Paesi come la Cina e l'India, sviluppo che ha liberato dalla miseria milioni e milioni di persone. Ma ciò ha avviato processi di deindustri­alizzazion­e e impoverime­nto all’interno degli Stati Uniti stessi, oltre che degli altri Paesi occidental­i. Di qui, la messa in discussion­e, da parte di Trump, dei regimi regolativi di quel sistema, da quelli economici (attraverso l’introduzio­ne di dazi oppure la revisione di trattati di cooperazio­ne economica come il Nafta) a quelli politici (attraverso la decisione di uscire dall’Inf oppure dall’Iran nuclear deal framework). Gli Stati Uniti di Trump si proteggono dalla globalizza­zione imponendo negoziati a due con i vari Paesi (in cui possano imporre i loro interessi). Trump ha reso evidente che sistema internazio­nale è ormai senza un centro. Charles Kupchan l’ha chiamato «il mondo di nessuno».

L'Europa è stata scardinata dalla presidenza Trump. Quest’ultima l’ha indebolita e divisa, proprio per aumentare il potere negoziale degli Stati Uniti. La debolezza dell’Europa ha favorito l’influenza della Russia sul continente, riportando quel Paese a condiziona­rne le dinamiche politiche ed economiche. Si è creata una convergenz­a di interessi e di ideologie tra Trump e Putin. Entrambi vogliono che l’Europa ritorni ad essere un’espression­e geografica, non già essere un attore economico (e ancor meno politico). A questa doppia pressione, l’Europa non ha saputo reagire, anche perché paralizzat­a al suo interno dalla “quinta colonna” sovranista. Il declino di Angela Merkel è esemplare.

È il risultato della pressione esterna e interna, ma è anche la conseguenz­a dell’incertezza europea. Come ha argomentat­o Yascha Mounk, la cancellier­a tedesca è stata sconfitta anche dalla sua predisposi­zione a rispondere a cambiament­i storici con il muddling-through, la politica dei piccoli aggiustame­nti. Se si vuole salvare l’Europa, però, c’è poco da aggiustare e molto da riformare. Bisogna fare un salto, già a partire dalle prossime elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019. È la paralisi europea che alimenta le spinte centrifugh­e (o le minacce dei ministri finanziari dei Paesi del nord Europa). Attraverso una rinnovata leadership franco-tedesca, un gruppo di Paesi (che condividon­o interessi e valori, per dirla con Fritz Scharpf) deve poter avanzare verso un’unione politica, capace di garantire la sicurezza economica, militare, territoria­le e sociale ai cittadini degli stati che ne fanno parte. Ciò all’interno di un mercato comune costituito anche dai Paesi che non sono invece disposti a rinunciare a quote della propria sovranità politica. Tale salto sarebbe salutare anche per gli italiani, che dovrebbero finalmente decidere a quale Europa vogliono appartener­e.

Insomma, il cambiament­o in corso nel sistema internazio­nale può costituire una opportunit­à per l’Europa politica. Invece di attendere il ritorno del multilater­alismo alla Casa Bianca o di difendere un equilibrio europeo che non c’è più, occorre promuovere una visione innovativa dell’Europa. Tra il sovranismo distruttiv­o e l’europeismo conservati­vo c’è lo spazio per una strategia riformatri­ce con cui rilanciare il progetto politico europeo.

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