Copertina Che fantastiche falsità!
Le opere in cui compaiono mostri, fantasmi, sirene, elfi, fate, vampiri, arpie e asini volanti. O trattano di viaggi sulla luna o nel mondo dei morti e di contatti con creature inesistenti
«Ci sono più cose in cielo e in terra / di quante ne sogni la tua filosofia, Orazio». Sono le parole con cui il pallido principe commenta l’apparizione del fantasma del padre nel primo atto dell’Amleto. E ci sta che, più avanti nello svolgimento della storia, qualcuno possa credere che lo stranito studente sia uscito di senno. Il lettore che però sappia un po’ di psicanalisi, come certi miei insegnanti d’un tempo, riporterà subito il tutto sul piano del buon senso; e, consapevole del fatto che il mondo dell’arte è il regno del «come se», ovvero della finzione provvisoria, spiegherà l’apparizione del defunto sovrano come la proiezione scenica di un pensiero di Amleto. Un presentimento condiviso con l’amico del cuore.
Non è detto che la parola “filosofia” debba qui essere intesa come “filosofia naturale”; resta però il fatto che Amleto la contrappone a un universo misterioso e anche un po’ fumoso – di natura metafisica o spirituale, non è ben chiaro – che non manca di influenzare il nostro destino.
Chiuso il sipario su Shakespeare, il problema si ripropone in una infinità di opere, presenti e passate, in cui compaiono mostri e fantasmi, sirene ed elfi, fate e vampiri, arpie e asini volanti; o che trattano di viaggi e avventure in luoghi inopinati come la Luna e il mondo dei morti, e di contatti con soggetti o creature che ragionevolmente nessuno tra le persone che noi conosciamo potrebbe mai ammettere di avere incontrato.
È il mondo della fantasia e dei sogni, della immaginazione e delle visioni, ovvero di quella forma di ragionamento che, in luogo di essere disincarnato come una espressione algebrica, si avvale di figure riconoscibili perché derivate dall’esperienza. Ed è uno spazio artistico in cui la logica della narrazione – l’inevitabile rapporto tra causa ed effetto, senza il quale verrebbe meno l’attenzione nei confronti della storia che stiamo leggendo – sa essere convincente anche quando corrisponde solo in parte alla logica che presiede alla concatenazione
degli eventi quotidiani.
Un recente libro di Lucilla Sergiacomo, L’assoluta libertà del fantastico. Un viaggio nella fantasia da
Omero a Calvino (Odoya) prende in esame e, soprattutto, prende posizione contro il reticolo di distinzioni tracciato da Tzvetan Todorov nel suo La letteratura fantastica
(Garzanti, 1977; Seuil, 1970), che è una sorta di capostipite di questo genere di trattazioni.
Scrive Gino Ruozzi nella prefazione al volume della Sergiacomo: «È difficile separare con tagli netti il fantastico dalla realtà, a meno che non si consideri la realtà (o la presunta “normalità”) qualcosa di piatto e di lineare, di nitido e di comprensibile». E lo stesso Ruozzi conclude con un aforistico paradosso: «Più conosciamo più ignoriamo, più pensiamo che vinca la ragione più domina l’irrazionalità».
Ma qui bisogna fare attenzione. Non è detto che “irrazionale” voglia dire “privo di senso” per il solo fatto che il mondo – la circoscritta «aiuola che ci fa tanto feroci» – sia percepito come «fuori di sesto». Tant’è vero che già ai tempi di Pitagora si parlava di numeri irrazionali e dunque di una realtà che esiste anche se è diversa da quella dei numeri di cui ci serviamo tutti i giorni per fare la spesa. Non vado oltre su questa strada perché non
Il fantastico frivolo della letteratura
d’evasione e il fantastico profetico
dei grandi libri
Eroe volante!
L’opera «Flying Superman» realizzata dall’artista statunitense Nathan Sawaya con mattoncini Lego per la mostra «The Art of the Brick: DC Super Heroes» allestita al Parc de la Villette
di Parigi nella
primavera 2018
ne so abbastanza, ma non posso fare a meno di tornare con il pensiero al titolo di un altro libro, I greci e l’irrazionale di E. R. Dodd (Bur, 2009; University of California Press, 1951) che fece a suo tempo sussultare gli alunni di Cartesio, viventi e trapassati, nonché gli adepti del culto neoclassico della ragione come ultima ratio.
Ora, rimanendo nell’ambito della letteratura e senza concedere alcuno spazio alla divinazione di medium e cartomanti, una considerazione è d’obbligo. Se da Omero ai profeti della Bibbia, passando per Virgilio, Dante Alighieri e John Milton, ci si imbatte – accanto alle amene creature di cui sopra – in angeli e demoni, divinità d’ambo i sessi, e talora nello stesso Padreterno, bisogna ricordare che le opere in cui compaiono questi personaggi, se così possiamo chiamarli, non vanno prese come meri
divertissement ma come figurazioni simboliche di realtà dello spirito altrimenti non accessibili.
In esergo al libro della Sergiacomo, un aforisma di Marcel Proust fornisce la chiave di lettura informandoci che «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi». Parole che hanno un precedente in una pagina di La prigioniera (1923) in cui il narratore della Recherche indugia sul tema della vita e dell’arte, per mezzo delle quali – conclude – «noi voliamo veramente di astro in astro».
Ha dunque ragione l’ottima Lucilla Sergiacomo a suggerire che limitare lo studio del fantastico all’800 e al ’900, come fa la maggior parte dei commentatori, sia un modo di confessare la propria incapacità di leggere nella mappa della letteratura con strumenti che non siano quelli di un algoritmo approntato ad hoc, e probabilmente esemplato (questo lo aggiungo io) su di un modello di ricerca di carattere scientifico, cioè esasperatamente analitico e specialistico.
La poesia e, per estensione, la grande letteratura – come ha scritto a suo tempo T. S. Eliot con parole non del tutto obsolete – è sempre e interamente contemporanea a chi scrive e a chi legge. Anche perché, come con ogni probabilità avrebbe aggiunto J. L. Borges, i libri parlano tra di loro: se non sopra gli scaffali, nella testa di chi li apre e vi entra.
Il titolo del libro della Sergiacomo, che sulle prime può apparire enfatico, sottolinea invece il fatto che alla nozione stessa di “fantastico” non si possono porre limiti. E che deve di necessità includere le invenzioni attribuite a quella nostra facoltà che si chiama appunto “fantasia”, sia che la si intenda in senso negativo – «un inganno del demonio» – come negli Atti degli Apostoli e negli scritti di alcuni Padri della Chiesa, sia che la si intenda come spazio della immaginazione in senso lato, ovvero come una elaborazione dei dati dell’inconscio che, in quanto tali, appartengono di diritto alla solida sfera della realtà. Nel bene come nel male.
In conseguenza di queste considerazioni è anche ovvio che si debba mantenere ben ferma la distinzione tra il fantastico frivolo della letteratura d’evasione e il fantastico profetico dei grandi libri.
Il lavoro della Sergiacomo non ha carattere enciclopedico e comprende una serie di esempi, ai quali peraltro dedica una diversa attenzione, tratti soprattutto dai classici italiani e dell’antichità, con qualche puntata tra gli scrittori francesi e americani. Ma è decisiva nell’avviare il lettore a convincersi che tutta la letteratura è da considerare fantastica perché frutto dell’immaginazione; e perché, persino quando pretende di essere realistica, parla di una realtà “altra” – virtuale – rispetto ai fatti della nostra vita.
Una banalità che non soddisfa gli accademici ma che contiene un implicito invito a chi ha il compito di orientare il lettore – sui giornali e, soprattutto, nei libri – a tener conto dell’aureo consiglio del vecchio Harold Bloom, secondo il quale se ci fosse dato di vivere fino a 160 anni potremmo anche pensare di leggerli tutti, i libri. Ma poiché le cose non stanno in questo modo bisogna realisticamente attenersi a un canone.
E se deve essere perfettamente lecito raggruppare e classificare le opere per genere – o per colore, tendenza e scopo, tenendo anche conto dei loro alti e bassi nel tempo – con tutte le varianti possibili; bisogna essere avvertiti che il soddisfare una qualsiasi curiosità, seppure con l’intento di trarne una indicazione utile a uno scopo, non è la principale funzione della critica. Che risiede invece nello spiegare al lettore in che cosa consista la grandezza del Furioso o del Chisciotte, rispetto – appunto – a tutte le altre opere che parlano dello stesso argomento.