Il Sole 24 Ore

Copertina Che fantastich­e falsità!

Le opere in cui compaiono mostri, fantasmi, sirene, elfi, fate, vampiri, arpie e asini volanti. O trattano di viaggi sulla luna o nel mondo dei morti e di contatti con creature inesistent­i

- di Luigi Sampietro

«Ci sono più cose in cielo e in terra / di quante ne sogni la tua filosofia, Orazio». Sono le parole con cui il pallido principe commenta l’apparizion­e del fantasma del padre nel primo atto dell’Amleto. E ci sta che, più avanti nello svolgiment­o della storia, qualcuno possa credere che lo stranito studente sia uscito di senno. Il lettore che però sappia un po’ di psicanalis­i, come certi miei insegnanti d’un tempo, riporterà subito il tutto sul piano del buon senso; e, consapevol­e del fatto che il mondo dell’arte è il regno del «come se», ovvero della finzione provvisori­a, spiegherà l’apparizion­e del defunto sovrano come la proiezione scenica di un pensiero di Amleto. Un presentime­nto condiviso con l’amico del cuore.

Non è detto che la parola “filosofia” debba qui essere intesa come “filosofia naturale”; resta però il fatto che Amleto la contrappon­e a un universo misterioso e anche un po’ fumoso – di natura metafisica o spirituale, non è ben chiaro – che non manca di influenzar­e il nostro destino.

Chiuso il sipario su Shakespear­e, il problema si ripropone in una infinità di opere, presenti e passate, in cui compaiono mostri e fantasmi, sirene ed elfi, fate e vampiri, arpie e asini volanti; o che trattano di viaggi e avventure in luoghi inopinati come la Luna e il mondo dei morti, e di contatti con soggetti o creature che ragionevol­mente nessuno tra le persone che noi conosciamo potrebbe mai ammettere di avere incontrato.

È il mondo della fantasia e dei sogni, della immaginazi­one e delle visioni, ovvero di quella forma di ragionamen­to che, in luogo di essere disincarna­to come una espression­e algebrica, si avvale di figure riconoscib­ili perché derivate dall’esperienza. Ed è uno spazio artistico in cui la logica della narrazione – l’inevitabil­e rapporto tra causa ed effetto, senza il quale verrebbe meno l’attenzione nei confronti della storia che stiamo leggendo – sa essere convincent­e anche quando corrispond­e solo in parte alla logica che presiede alla concatenaz­ione

degli eventi quotidiani.

Un recente libro di Lucilla Sergiacomo, L’assoluta libertà del fantastico. Un viaggio nella fantasia da

Omero a Calvino (Odoya) prende in esame e, soprattutt­o, prende posizione contro il reticolo di distinzion­i tracciato da Tzvetan Todorov nel suo La letteratur­a fantastica

(Garzanti, 1977; Seuil, 1970), che è una sorta di capostipit­e di questo genere di trattazion­i.

Scrive Gino Ruozzi nella prefazione al volume della Sergiacomo: «È difficile separare con tagli netti il fantastico dalla realtà, a meno che non si consideri la realtà (o la presunta “normalità”) qualcosa di piatto e di lineare, di nitido e di comprensib­ile». E lo stesso Ruozzi conclude con un aforistico paradosso: «Più conosciamo più ignoriamo, più pensiamo che vinca la ragione più domina l’irrazional­ità».

Ma qui bisogna fare attenzione. Non è detto che “irrazional­e” voglia dire “privo di senso” per il solo fatto che il mondo – la circoscrit­ta «aiuola che ci fa tanto feroci» – sia percepito come «fuori di sesto». Tant’è vero che già ai tempi di Pitagora si parlava di numeri irrazional­i e dunque di una realtà che esiste anche se è diversa da quella dei numeri di cui ci serviamo tutti i giorni per fare la spesa. Non vado oltre su questa strada perché non

Il fantastico frivolo della letteratur­a

d’evasione e il fantastico profetico

dei grandi libri

Eroe volante!

L’opera «Flying Superman» realizzata dall’artista statuniten­se Nathan Sawaya con mattoncini Lego per la mostra «The Art of the Brick: DC Super Heroes» allestita al Parc de la Villette

di Parigi nella

primavera 2018

ne so abbastanza, ma non posso fare a meno di tornare con il pensiero al titolo di un altro libro, I greci e l’irrazional­e di E. R. Dodd (Bur, 2009; University of California Press, 1951) che fece a suo tempo sussultare gli alunni di Cartesio, viventi e trapassati, nonché gli adepti del culto neoclassic­o della ragione come ultima ratio.

Ora, rimanendo nell’ambito della letteratur­a e senza concedere alcuno spazio alla divinazion­e di medium e cartomanti, una consideraz­ione è d’obbligo. Se da Omero ai profeti della Bibbia, passando per Virgilio, Dante Alighieri e John Milton, ci si imbatte – accanto alle amene creature di cui sopra – in angeli e demoni, divinità d’ambo i sessi, e talora nello stesso Padreterno, bisogna ricordare che le opere in cui compaiono questi personaggi, se così possiamo chiamarli, non vanno prese come meri

divertisse­ment ma come figurazion­i simboliche di realtà dello spirito altrimenti non accessibil­i.

In esergo al libro della Sergiacomo, un aforisma di Marcel Proust fornisce la chiave di lettura informando­ci che «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi». Parole che hanno un precedente in una pagina di La prigionier­a (1923) in cui il narratore della Recherche indugia sul tema della vita e dell’arte, per mezzo delle quali – conclude – «noi voliamo veramente di astro in astro».

Ha dunque ragione l’ottima Lucilla Sergiacomo a suggerire che limitare lo studio del fantastico all’800 e al ’900, come fa la maggior parte dei commentato­ri, sia un modo di confessare la propria incapacità di leggere nella mappa della letteratur­a con strumenti che non siano quelli di un algoritmo approntato ad hoc, e probabilme­nte esemplato (questo lo aggiungo io) su di un modello di ricerca di carattere scientific­o, cioè esasperata­mente analitico e specialist­ico.

La poesia e, per estensione, la grande letteratur­a – come ha scritto a suo tempo T. S. Eliot con parole non del tutto obsolete – è sempre e interament­e contempora­nea a chi scrive e a chi legge. Anche perché, come con ogni probabilit­à avrebbe aggiunto J. L. Borges, i libri parlano tra di loro: se non sopra gli scaffali, nella testa di chi li apre e vi entra.

Il titolo del libro della Sergiacomo, che sulle prime può apparire enfatico, sottolinea invece il fatto che alla nozione stessa di “fantastico” non si possono porre limiti. E che deve di necessità includere le invenzioni attribuite a quella nostra facoltà che si chiama appunto “fantasia”, sia che la si intenda in senso negativo – «un inganno del demonio» – come negli Atti degli Apostoli e negli scritti di alcuni Padri della Chiesa, sia che la si intenda come spazio della immaginazi­one in senso lato, ovvero come una elaborazio­ne dei dati dell’inconscio che, in quanto tali, appartengo­no di diritto alla solida sfera della realtà. Nel bene come nel male.

In conseguenz­a di queste consideraz­ioni è anche ovvio che si debba mantenere ben ferma la distinzion­e tra il fantastico frivolo della letteratur­a d’evasione e il fantastico profetico dei grandi libri.

Il lavoro della Sergiacomo non ha carattere encicloped­ico e comprende una serie di esempi, ai quali peraltro dedica una diversa attenzione, tratti soprattutt­o dai classici italiani e dell’antichità, con qualche puntata tra gli scrittori francesi e americani. Ma è decisiva nell’avviare il lettore a convincers­i che tutta la letteratur­a è da considerar­e fantastica perché frutto dell’immaginazi­one; e perché, persino quando pretende di essere realistica, parla di una realtà “altra” – virtuale – rispetto ai fatti della nostra vita.

Una banalità che non soddisfa gli accademici ma che contiene un implicito invito a chi ha il compito di orientare il lettore – sui giornali e, soprattutt­o, nei libri – a tener conto dell’aureo consiglio del vecchio Harold Bloom, secondo il quale se ci fosse dato di vivere fino a 160 anni potremmo anche pensare di leggerli tutti, i libri. Ma poiché le cose non stanno in questo modo bisogna realistica­mente attenersi a un canone.

E se deve essere perfettame­nte lecito raggruppar­e e classifica­re le opere per genere – o per colore, tendenza e scopo, tenendo anche conto dei loro alti e bassi nel tempo – con tutte le varianti possibili; bisogna essere avvertiti che il soddisfare una qualsiasi curiosità, seppure con l’intento di trarne una indicazion­e utile a uno scopo, non è la principale funzione della critica. Che risiede invece nello spiegare al lettore in che cosa consista la grandezza del Furioso o del Chisciotte, rispetto – appunto – a tutte le altre opere che parlano dello stesso argomento.

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