Reimmaginare l’industria del farmaco in chiave digitale
Il Ceo di Novartis Hudson: «La riprogettazione parte da una piattaforma abilitata ai dati che offre prove personalizzate»
L’ambizione è quello di costruire un nuovo modello visionario che mescoli tecnologia e ricerca farmaceutica. Sfruttando le competenze e le forze di entrambi presto infatti si arriverà a riprogettare digitalmente il business farmaceutico. Che il settore sia in continua mutazione è cosa nota, basti pensare a quando le farmaceutiche erano grandi laboratori e grandi stabilimenti di produzione per diventare via via fulcro di una costellazione di piccoli laboratori innovativi esterni che collaborano con le università. Poi è arrivata la rivoluzione digitale e i dati sono diventati merce preziosa, capace di trasformare un’azienda in una miniera d’oro. Cogliere questa opportunità, però, non è solo una questione di tecnologia, richiede visione e leadership.
«La realtà è che le tecnologie digitali non trasformano un’azienda se il suo modello operativo non è progettato per accogliere l’innovazione digitale» ci spiega Paul Hudson, ceo di Novartis Pharmaceuticals, che abbiamo incontrato a Roma in occasione della WinConference. Per capirci, ripensiamo a quanto è stato disruption l’iPhone nel settore tecnologico. Apple ha assemblato tecnologie comprovate - touch screen e Gps - in una riprogettazione end-to-end dell’esperienza dell’utente. Aprendo, di fatto, lo smartphone a un ecosistema di sviluppatori di app che ha determinato un’economia di piattaforma. Un circolo virtuoso che potrebbe valere anche per le aziende farmaceutiche per realizzare la propria economia di piattaforma? «Sì, le piattaforme sono una grande opportunità, l’importante però è capire come arrivarci e con quali strumenti - continua Hudson -. Con gli ampi set di dati accumulati negli studi clinci e le tecnologie su cui abbiamo investito contiamo di guidare la rivoluzione digitale nel settore farmaceutico e posizionarci come un’azienda di medicine e data science. Per arrivare un giorno a progettare un farmaco “in silico”, sviluppato non in laboratorio ma al computer».
E i passi in questa direzione il colosso svizzero li sta già facendo avviando per esempio un’allenza con Science 37 per far avanzare il programma di prove cliniche virtuali e promuovere un modello di ricerca incentrato sul paziente. «Il modello di sperimentazioni futuristiche abilitate dalla tecnologia mira a rendere gli studi più accessibili, aprendo la partecipazione a comunità remote o sottoservite, contribuendo allo sviluppo di farmaci innovativi. I nuovi studi decentrati Novartis dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno negli Stati Uniti nelle aree di dermatologia, neuroscienza e oncologia, sfruttando la tecnologia proprietaria Nora(Network oriented research assistant) di Science 37, che consente ai pazienti di partecipare agli studi utilizzando i dispositivi mobili e i servizi di telemedicina».
Ma Novartis investe anche su un’altra idea. Quella di sfruttare l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per scoprire le “cure nascoste”. «Abbiamo lanciato un massiccio progetto di data mining per estrapolare nuove conoscenze dai vecchi dati raccolti negli studi clinici attraverso due programmi: Data42 e Nerve Live» aggiunge Hudson. Ma i dati non sono un patrimonio esclusivo delle big pharma, anzi i “cugini” del tech sono nettamente più avanti. Teme la concorrenza?
«Sono certamente più avanti di noi. La gente pensa ad Amazon come a un negozio online, invece è una compagnia di Big data molto ben strutturata. Forse fino a 2-3 anni fa eravamo preoccupati che aziende come Apple, Google e la stessa Amazon volessero entrare in questo mercato. In realtà, a loro non interessa produrre medicinali, ma aiutarci a migliorare il nostro parco-dati, e si fanno pagare per questo - conclude Hudson Ciò che cambierà e rivoluzionerà il vecchio schema riguarda invece l’ultimo miglio, quello che io definisco il “consumismo della salute”. Ovvero oggi i pazienti posseggono sul loro smart watch tutti i loro dati sanitari e non (peso, pulsazioni, pressione, ma anche le abitudini alimentari, gli hobby, ecc) e questo dà loro più potere che possono esercitare dicendo “ti darò i miei dati se ti prenderai cura di me”. E alla fine saranno loro a decidere l’assistenza sanitaria».