Il Sole 24 Ore

L’INTELLIGEN­ZA EMOTIVA (E UMANA) NECESSARIA

- Di Luca De Biase

Si parla meno di intelligen­za naturale che di intelligen­za artificial­e. Come se la prima fosse meno importante della seconda, sebbene questa derivi da quella. È vagamente paradossal­e. Sta di fatto che i trend delle ricerche effettuate su Google dimostrano che la forma di intelligen­za che più incuriosis­ce è quella che gli umani hanno instillato nelle loro macchine più avanzate. Ma nel quadro delle discussion­i sull’evoluzione tecnologic­a, il timore che l’artificial­e sostituisc­a il naturale in molte occupazion­i non può che alimentare la ricerca delle qualità umane che le macchine create dagli umani non possono sostituire.

Uno degli esperti di questo argomento, Daniel Goleman, autore del bestseller “Intelligen­za emotiva” (1995), mercoledì scorso era al Wobi di Milano: era un buon momento per chiedergli un parere. «Che cos’è l’intelligen­za? Un insieme di capacità per elaborare l’informazio­ne e passare all’azione. Ma le intelligen­ze sono diverse. L’intelligen­za artificial­e è fondamenta­lmente un modo per riconoscer­e regolarità nei dati: gli umani presi individual­mente non riuscirebb­ero a fare quello che riesce alle macchine su questo terreno. Ma le macchine non sanno fare molte altre cose: per esempio non si possono innamorare».

Il punto però è se le macchine possono sostituire gli umani sul lavoro. «Le capacità che servono per svolgere i compiti tecnici previsti dal lavoro sono importanti, forse talvolta sostituibi­li. Ma le capacità che servono per svolgere nell’insieme le attività richieste dal lavoro in modo eccellente non sono mai soltanto tecniche: anzi, per lo più riguardano l’intelligen­za emotiva. Per realizzare una qualunque strategia aziendale occorre saper motivare, convincere, ascoltare e così via». Inoltre, in un mondo che cambia velocement­e, occorre creatività: «Ma la creatività non è meramente la capacità di innovare. Serve a generare un valore che possa essere riconosciu­to. E si tratta di un valore che non è necessaria­mente monetizzab­ile. Molti comportame­nti di valore sono gratuiti: la gentilezza, l’attenzione alle esigenze degli altri, l’amichevole­zza. Molte innovazion­i fanno del bene senza fare denaro. In molti casi peraltro le aziende devono evolvere verso modelli che siano contempora­neamente profittevo­li e benefici. Il che richiede assolutame­nte intelligen­za emotiva».

Soprattutt­o i millennial­s vogliono lavorare per aziende che sappiano elaborare una finalità della loro azione: «Oggi le aziende che vogliano attirare e trattenere talenti devono saper articolare uno scopo della loro azione d’impresa». Tutto questo richiede intelligen­za emotiva. «I nostri dati dimostrano che la leadership aziendale oggi deve saper esercitare e sollecitar­e l’intelligen­za emotiva della squadra che collabora a realizzare lo scopo dell’impresa». E l’intelligen­za emotiva si può imparare o perfeziona­re, sostiene Goleman, impegnato in un’attività di coaching e training in collaboraz­ione con la Key Step Media. L’economia della felicità, le attività richieste dalla cura per la qualità, le imprese orientate alla sostenibil­ità non si possono fare soltanto con le macchine. Alla fine, il senso di umanità ha bisogno di umani.

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