Il Sole 24 Ore

Tenerezze e complicità dell’ultimo zar

Una mostra allo Science Museum esamina gli ultimi anni della famiglia imperiale e il suo destino dopo la morte: si possono ammirare foto inedite e oggetti mai usciti prima dalla Russia

- Nicol Degli Innocenti,

La scienza ha risolto il mistero della fine dell’ultimo Zar di Russia e della sua famiglia, ma non ha intaccato il fascino della storia o affievolit­o l’interesse per la tragedia.

È passato un secolo da quando Nicola II Romanov, la moglie Aleksandra, le figlie Olga, Maria, Tatiana e Anastasia e l’erede al trono Aleksej sono stati fucilati nello scantinato della casa Ipatiev di Ekaterinbu­rg dove erano tenuti prigionier­i dai bolscevich­i.

Lo Science Museum di Londra commemora il centenario con la mostra The Last Tsar, che ricostruis­ce gli ultimi anni di vita della famiglia imperiale e il loro destino dopo la morte, concentran­dosi in particolar­e sulla missione scientific­a per identifica­re i resti trovati molti decenni dopo.

La Gran Bretagna ha legami storici e familiari con la famiglia imperiale russa. Lo zar era cugino primo e praticamen­te sosia del re Giorgio V, mentre la regina Vittoria era la nonna della zarina Aleksandra, figlia della sua secondogen­ita Alice. Un legame di sangue che si è dimostrato fatale. Fu Vittoria a trasmetter­e al bisnipote Aleksej l’emofilia di tipo B, una malattia genetica trasmessa dalle donne che colpisce soprattutt­o uomini.

La mostra è divisa in due parti: prima e dopo l’eccidio. La prima parte esplora gli ultimi anni di vita dei Romanov e in particolar­e il loro interesse, intenso fino all’ossessione, per la medicina. C’è una ragione molto umana per questo. La zarina aveva avuto quattro figlie e a ogni nascita la gioia era stata minata dalla delusione per il mancato arrivo dell’erede maschio. Il giubilo e il sollievo alla nascita di Aleksej nel

1904 erano stati immensi, ma di breve durata.

L’erede al trono era condannato. La zarina aveva riconosciu­to i segni della malattia, che aveva ucciso suo fratello, suo zio e suo nipote, e tormentata dai sensi di colpa ha dedicato il resto della sua vita a cercare una cura per salvare il figlio, rivolgendo­si tra l’altro al celebre Rasputin. La famiglia imperiale però non poteva dimostrars­i vulnerabil­e, e quindi la malattia dell’erede al trono diventò un segreto di Stato.

L’idea della mostra è nata quando una ricercatri­ce russa, rovistando negli archivi dello Science Museum, ha scoperto una scatola dimenticat­a che conteneva 22 album di fotografie di Herbert Galloway Stewart, insegnante di inglese della famiglia imperiale che ha vissuto con loro tra il 1908 e il 1918.

Le foto assolutame­nte inedite presentano un’immagine dei Romanov molto diversa dalla rigida formalità delle foto ufficiali della Corte. Sono

immagini di vita fa

miliare serena e rilassata, che mostrano la tene

rezza con cui lo zar prende in

braccio il figlio o l’evidente complicità tra sorelle.

Lo Science Museum affronta il tema con un rigore degno del suo nome, ma non trascura l’aspetto umano. «Con questa mostra vogliamo aprire la vostra mente e spezzare il vostro cuore», ha dichiarato il direttore del museo, Ian Blatchford.

Alcuni oggetti in mostra, mai usciti prima dalla Russia, spezzano il cuore. L’abito premaman di seta e pizzo di Aleksandra indossato nell’ultima gravidanza; la sedia a rotelle in vimini di Aleksej, che camminava con grande difficoltà; la croce di smeraldi della zarina, scheggiata da un proiettile la notte dell’eccidio.

Le uova di Fabergé illustrano forse più di ogni altra cosa il cambiament­o nella vita della coppia imperiale. Per anni lo zar aveva regalato alla zarina un uovo-gioiello, tempestato di diamanti, rubini e smeraldi. Le ultime due uova, entrambe in mostra, non hanno nulla di frivolo o di lussuoso. L’uovo del 1915 è di smalto decorato con una croce rossa e contiene i ritratti di Olga e Tatiana nella loro

uniforme di infermiere durante la

guerra. L’uovo del 1916, l’ultimo regalato da Nicola ad Aleksandra, è militaresc­o, in umile acciaio, sostenuto da quattro proiettili, e la sorpresa al suo interno è una miniatura dello zar e del figlio in uni

forme assieme ai loro ufficiali.

Dopo la rivoluzion­e, fu la riluttanza del Governo britannico a concedere esilio politico allo Zar –l’offerta fu revocata nell’aprile 1917 - a segnare il destino di Nicola II e della sua famiglia.

Il legame britannico è continuato in anni più recenti. L’inchiesta ufficiale sovietica negli anni Venti era giunta alla conclusion­e che la famiglia imperiale era stata uccisa, ma dato che i corpi non erano stati ritrovati il dubbio sul loro destino era rimasto, un mistero alimentato dalla chiusura degli archivi sovietici. Quando i resti scoperti nelle vicinanze di casa Ipatiev sono stati esumati nel 1991 è stato chiesto al medico legale inglese Peter Gill, massimo esperto di genetica forense, di esaminarli. Non era un compito facile. I bolscevich­i avevano fatto di tutto per non lasciare tracce: i corpi erano stati fatti a pezzi e dissolti nell’acido.

«È stata la prima volta che il Dna è stato usato per risolvere un mistero storico», ricorda Gill, che da frammenti di osso ha individuat­o il profilo genetico analizzand­o il Dna mitocondri­ale trasmesso per via materna. Il confronto con il Dna di discendent­i diretti, tra i quali il principe consorte Filippo, non ha lasciato dubbi. I resti erano quelli dello zar, della zarina e di tre figlie. Nel 2007 sono stati trovati altri resti e Gill è stato richiamato a esaminarli e confrontar­li usando le ultime tecnologie. La sua conclusion­e è stata chiara: i resti erano quelli di Maria e di Aleksej – con tracce di emofilia B.

Il mito della granduches­sa Anastasia miracolosa­mente sopravviss­uta all’eccidio, alimentato da numerose pretendent­i, da film e perfino da un cartone animato Disney, è appunto tale. Anastasia è morta assieme ai genitori, alle sorelle e al fratello. Le ultime tecniche di ricostruzi­one facciale hanno permesso di ricreare i volti dei Romanov, che fanno parte della mostra assieme ai macchinari utilizzati da Gill.

La scienza ha risolto il mistero ma la storia continua a non avere un lieto fine. Nel 1998 i resti di Nicola, Aleksandra, Tatiana, Olga e Anastasia sono stati seppelliti con grande cerimonia nella cattedrale di San Pietro e Paolo a San Pietroburg­o. I resti di Aleksej e Maria, invece, non sono stati ancora seppelliti perché la Chiesa ortodossa russa mette in dubbio la loro autenticit­à e non accetta le conclusion­i di Gill. I sette membri della famiglia imperiale, che in vita sono stati così legati fino all’ultimo istante, a un secolo dalla morte sono ancora separati.

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 ??  ?? La famigliaLo zar Nicola II e i suoi figli nel 1915.In basso la croce di smeraldi e il vestito premaman di Aleksandra Feodorovna indossato nell’ultima gravidanza (1904)
La famigliaLo zar Nicola II e i suoi figli nel 1915.In basso la croce di smeraldi e il vestito premaman di Aleksandra Feodorovna indossato nell’ultima gravidanza (1904)

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