Alla ricerca disperata di esempi spirituali
Quando si parla di Ermete Trismegisto o dei suoi scritti noti come Corpus hermeticum, s’intende un autore o un insieme di opere che indicativamente fiorirono negli ambienti ellenizzati dell’antica Alessandria. Dietro questo nome, o etichetta, è bene immaginare un gruppo di seguaci di Platone (con simpatie stoiche) che cercava giustificazioni alla filosofia del maestro con una rivelazione. E si spinse, per superare le correnti scettiche o gli eclettici, verso un atteggiamento dogmatico e mistico. Così come i pitagorici attribuivano a Pitagora le loro opere per renderle autorevoli, allo stesso modo gli ermetici facevano risalire all’egiziano Theuth, citato da Platone nel Fedro e nel Filebo (inventore dell’alfabeto e della scrittura), la paternità delle loro idee. Teuth fu ben presto identificato con il dio egizio Thoth, del quale i sacerdoti testimoniavano un gran numero di scritti. Lo stesso Thoth, divinità che nella liturgia egizia vantava il titolo di “grande-grande”, fu - già dalle Storie di Erodoto - individuato con il dio greco Ermete. Per questo tali opere diventarono di Ermete Trismegisto, cioè di Ermete “tre volte grandissimo”.
Il Corpus hermeticum è costituito da diciotto trattati, dei quali il primo fu chiamato Pimandro (significa “pastore di uomini”); inoltre c’è l’Asclepius, dialogo in una traduzione latina forse di Apuleio: il testo greco è perduto e s’intitolava Logos téleios, “Discorso perfetto”. A ciò si aggiungono dei frammenti: una trentina scarsa di citazioni estratte da Stobeo, una ventina da diversi autori (prevale tra essi il Padre della Chiesa Lattanzio); una quindicina si ricava da un altro Padre, Cirillo, l’autore dell’opera Contro Giuliano. Ilaria Ramelli, nel pubblicare la traduzione integrale del Corpus hermeticum (Bompiani 2005, su progetto di Giovanni Reale), ha aggiunto gli scritti copti.
I testi ermetici in originale si leggono nell’edizione in quattro volumi uscita nella collezione greca de Les Belles Lettres (Parigi 1946-54, curatori Nock e Festugière); vale la pena anche consultare i quattro tomi di Hermetica (Oxford 1924-36, a cura di Scott e Ferguson). Il più importante studio è di Festugière, La Révélation d’Hermès Trismégiste, in quattro volumi usciti tra il 1944 e il ’49 (nel 2014 Les Belles Lettres lo hanno ripubblicato, corretto sui manoscritti, in un solo volume di oltre 2000 pagine). In Italia, oltre il citato libro di Bompiani, vi sono i due usciti per la Fondazione Valla, a cura di Paolo Scarpi, con il titolo La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto. V’è tradotto anche il testo sulle Definizioni giunto in armeno.
Escono ora da Mimesis, a cura di Pierre Dalla Vigna, due volumi di testi ermetici (senza originale a fronte), che recuperano versioni già pubblicate da questa editrice. Diremo soltanto che il Corpo Ermetico e l’Asclepio, tradotti da Carlo Tondelli, risalgono al 1988; altri videro la luce in seguito, ma erano diventati introvabili.
Si desidera semplicemente ricordare il successo di questi scritti d’incerta datazione che nacquero da appunti, o forse da riassunti di lezioni o da colloqui tenuti in esclusivi circoli filosofici. Chi li scrisse non si riferiva a un testo sacro, pur intendendo rivelare dottrine che già Ermete, da uomo, aveva insegnato, e grazie alle quali si mutò in dio: così come lo sarebbe diventato chi le avesse seguite. Nati in tempi di crisi religiosa cercano disperatamente il divino. È quello che sta accadendo ai nostri giorni?