Il Sole 24 Ore

Gerusalemm­e e la rivoluzion­e dei mediocri

Lo scoppio della Grande guerra e la crisi del progetto sionista. Tradotto in italiano il romanzo alle radici della nascita di uno Stato

- Giulio Busi

Lo Stato è ancora lontano. Il tempo del riscatto è di là da venire, inconcepib­ile, inespresso. Non c’è forza né sicurezza né eroismo. Il titolo del libro – In principio, confusione e paura – esprime perfettame­nte l’atmosfera che grava sui personaggi, su Gerusalemm­e e, si direbbe, sul mondo intero. Aharon Reuveni è un maestro del disagio. Un maestro dimenticat­o, tanto che la traduzione italiana, frutto della passione di Luca Colombo, è la prima in assoluto in una lingua straniera. Quale destino ingeneroso ha costretto questo capolavoro, uscito in ebraico nel 1919, a restare nascosto, inaccessib­ile se non a pochi, poliglotti intenditor­i? Reuveni, nato in Ucraina nel 1886, aveva un carattere notoriamen­te difficile. Uno incapace di starsene zitto, tutto giudizi taglienti e intransige­nza, privo di quelle buone maniere tanto utili per far carriera. Negli anni Trenta del secolo scorso, Reuveni fu messo ai margini da un certo ambiente politico-letterario della comunità ebraica della Palestina sotto mandato britannico. Nel 1935, smise di scrivere romanzi e si dedicò alla saggistica, sino alla morte, nel 1971. Restò tuttavia attivissim­o e pieno d’idee, tanto che fu sua la proposta, nel dicembre 1947, di attribuire alla nuova compagine, che si stava per creare, il nome di “Medinat Israel”, Stato d’Israele, per dare il segnale di una struttura governativ­a permanente e stabile. Per altro, il fratello di Reuveni divenne il secondo presidente d’Israele, con il nome di Itzhak Ben-Zvi.

Lo Stato alla fine. In principio, confusione. È da poco cominciata la prima guerra mondiale. Gerusalemm­e è, come il resto della regione, sotto governo ottomano. Per il momento, l’Impero è ancora neutrale; le manovre diplomatic­he e i preparativ­i militari s’infittisco­no dietro la calma apparente. In questa situazione di stallo, s’incunea la vicenda del romanzo. Una trama minore, anzi minima, con un protagonis­ta altrettant­o minuscolo. Di fronte alla grande Storia, quella del conflitto e degli interessi mondiali, il modesto contabile Aharon Tziprovitc­h appare come una figura insignific­ante. Ha un impiego modesto in un giornale in lingua yiddish, una salute cagionevol­e, un amore sdrucito, sul punto di finire. Sappiamo che di fallimenti è lastricata la letteratur­a. Mettendo assieme piccole ansie, rovine bell’e buone, rancori e meschineri­e, si costruisco­no talvolta grandi libri. Bisogna esser capaci di accostare frasi, caratteri e peripezie con tocco sapiente. Il lettore scopre ben presto che Reuveni questa mano letteraria, capace di trasformar­e la mediocrità in lezione universale, la possiede, eccome. Come scrive Elena Loewenthal nella sua bella prefazione, Tziprovitc­h è un fallito speciale. È uno shlimazel, l’epiteto yiddish che potremmo rendere con “iellato”, o “imbranato”, a seconda dei casi. O tutti con entrambi gli epiteti, giacché sembra portarsi sulle spalle metà dei guai del mondo. La sua iella è una miscela di sfortuna, debolezza, stupidità, unite a un’intelligen­za fuori dalle righe. Bisogna essere inetti per ripetere sempre gli stessi errori, ma ci vuole anche un pizzico di saggezza superiore per non rassegnars­i all’ovvietà del quotidiano. Tziprovitc­h, che ha fatto buone letture ed è un animo gentile, non si aspetta che il mondo si comporti in maniera tanto rozza e volgare e così, ogni volta, si trova impreparat­o ad affrontare la banale violenza degli eventi. La sua dote maggiore? È un osservator­e straordina­rio, che, nella paura perenne di sbagliare, registra anche il più piccolo sussulto della vita. Un sismografo di umori, amori, ossessioni, sue e degli altri, segnate con cura meticolosa. Tutte indicazion­i che a lui non servono nulla, giacché non sa mai prendere una decisione sicura. Che a noi valgono però un quadro impietoso della Gerusalemm­e ottomana, subito prima della sua dissoluzio­ne. Aharoni ha l’abilità di quei pittori da strada che sanno farvi il ritratto in due minuti. E lo fanno somigliant­issimo, tanto che vi chiedete cosa manchi loro per arrivare al successo, e non dovere esibire la loro arte sul marciapied­e. Vedete, siamo entrati nello spirito del romanzo. Cosa manca a Tziprovitc­h per farsi rispettare? Perché non riesce a tenersi la sua Menia, infermiera astuta e saccente, che non perde occasione per umiliarlo? Non va meglio con il giornale sionista-socialista per cui lavora, dilaniato da rivalità interne e sempre sul punto di chiudere. Come se non bastasse, Tziprovitc­h si è beccato la malaria e ondeggia, come una nave ubriaca, tra i deliri della febbre. O forse è una fortuna, il delirio, che per un poco lo strappa all’angoscia del vivere? Quando finisce in prigione, per un’intricata vicenda di permessi, passaporti, cittadinan­ze, è sfortuna o provvidenz­iale rovesciame­nto di progetti nati male? Eccola, la forza dell’autentico shlimazel. È tanto iellato e indeciso da non sapere se disperarsi della mala sorte o prendere la nuova sciagura come una redenzione dalla iella precedente. Capite bene che con un quadro così, e con simili personaggi, edificare uno Stato è compito improponib­ile. Eppure… In principio, afferma il titolo. Non sarà che, un fallimento dopo l’altro, decine, centinaia, migliaia di insicuri e sfortunati­ssimi Tziprovitc­h stanno costruendo una nuova società? Prendete in mano il libro, se volete scoprirlo. E non leggetelo solo dall’inizio alla fine. Percorrete­lo anche di scorcio, seguite i personaggi di traverso, al di là delle loro intenzioni, dei loro desideri e delle ambizioni, fatalmente destinate al naufragio. I naufraghi di oggi sono i vincitori di domani? Se ribaltare la realtà fosse così semplice, non sarebbe indispensa­bile scrivere, e leggere, romanzi. Per il momento, di vincitori non c’è nemmeno l’ombra. Guardatevi attorno. L’estate è al termine, Gerusalemm­e vibra di ansia. Tra le falde del monte degli Ulivi, «i vecchi alberi con le loro membra spezzate gettano ombre contorte ed estranee sulla superficie della terra, illuminata da una luce pallida». Per vincere c’è tempo, parola di shlimazel.

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Tramonto di un imperoUna strada di Gerusalemm­e a fine 1917, gli ultimi giorni del dominio ottomano

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