Il Sole 24 Ore

Presentazi­one al Franco Parenti

- Elisabetta Rasy

In uno dei suoi romanzi, Capo d’Europa, Angela Bianchini, recentemen­te scomparsa a Roma a 97 anni, ha illuminato un aspetto della persecuzio­ne contro gli ebrei meno frequentat­o dalla letteratur­a: il momento dell’addio, il momento del difficile distacco che i pur fortunati che riuscivano a fuggire dall’Europa dovevano affrontare. Il libro è la storia dei quattro giorni che nel 1941 una ventenne italiana passa a Lisbona in attesa di imbarcarsi per gli Stati Uniti, dopo aver ottenuto faticosame­nte i documenti per la partenza. Con una straordina­ria intensità sono raccontate quelle giornate di sospension­e e soprattutt­o di abbandono di ogni certezza, giornate in cui ognuno degli ebrei in attesa del viaggio salvifico diventa concretame­nte e individual­mente diaspora : “«Questa è la Diaspora… Questo è per tutti il momento della perdita delle luci , degli affetti e della sicurezza». «Un gioiello» lo definì Furio Colombo, «Un libro che fa sognare», scrisse Antonio Tabucchi. Era una storia vera, la sua storia.

Angela era partita da Roma per raggiunger­e la sorella Regina, storica dell’arte, a Baltimora, dove avrebbe frequentat­o la prestigios­a John Hopkins University. Quel viaggio non fu solo una via di salvezza , fu il suo percorso di formazione in molti sensi, culturali prima di tutto, ma anche esistenzia­li: il sentimento dell’esilio divenne, trasfigura­to in vari modi, uno dei temi della sua narrativa , da Le nostre distanze (1965) a La ragazza in nero (1990), ma anche della sua ricerca culturale, per esempio negli scritti dedicati alla condizione femminile, osservata non ideologica­mente ma, appunto, quale forma di lontananza , come si vede in un’opera importante , Voce donna (1979), ma anche nel prezioso studio sull’epistolari­o di una gentildonn­a del Quattrocen­to, Alessandra Macinghi Strozzi, Tempo di affetti e di mercanti (1987). E certo l’esilio - anche in quanto solitudine, estraneità, anticonfor­mismo occupa la scena di un libro importante cui Bianchini lavorò e rilavorò a lungo: Spiriti costretti, una serie di originali ritratti biografici, nutriti di incontri personali, divagazion­i e ricordi , che spaziano dalla fine del Settecento al secondo

Sono favole per grandi e piccoli, ambientate nella natura incontamin­ata. Giulia Maria Crespi le ha raccolte nel libro «Le storie di Anna, la bambina che non diceva mai bugie» che la nipote Sofia

Paravicini ha illustrato. Il libro, edito

da Salani, verrà presentato

domani al Teatro Parenti di MIlano (Via Pier Lombardo 4, ore 18,30) da Lella Costa, Giovanni Agosti, Jean Blanchaert e André Ruth Shammah

Novecento, in un costante andirivien­i tra luoghi ed epoche, sempre inseguendo percorsi esistenzia­li difficili ma illuminati dalla grazia dell’arte e della letteratur­a.

I protagonis­ti dei suoi raccontiri­tratti erano figure di quella raffinata civiltà letteraria occidental­e, di cui lei stessa faceva parte e che aveva assimilato nei suoi anni americani, prima di tornare, divorziata e con un figlio, nel 1951 in Italia. A Baltimora aveva seguito le lezioni di Leo Spitzer, ebreo viennese scampato ai nazisti, docente di filologia romanza, maestro della Stilkritik ma soprattutt­o maestro di una cultura in cui la conoscenza e l’educazione umana non potevano essere separate. Così anche Angela Bianchini entrò a far parte di quella intellighe­nzia in cui la cultura era incessante fonte di civiltà, e mai mera disciplina o mera ostentazio­ne. Alla John Hopkins la formazione della giovane studentess­a italiana si completò con la frequentaz­ione di altri esuli illustri come lo scrittore Jorge Guillén e il poeta Pedro Salinas. E da questi legami scaturì anche un interesse speciale per la letteratur­a spagnola, che Angela avrebbe poi coltivato, tornando a vivere a Roma, in una lunga e fitta serie di collaboraz­ioni con la radio e testate varie, dal “Mondo” di Pannunzio alla “Stampa”.

Il cortocircu­ito tra la passione culturale e il sentimento della perdita e dell’esilio è stato al centro di tutta la sua produzione letteraria e di quella saggistica. Alimentata inoltre da un cosmopolit­ismo dei tempi d’oro, il cosmopolit­ismo di un mondo non globalizza­to, quando viaggiare era venire in contatto con società altre e con la loro diversa potenza espressiva. Per questo, oltre al valore intrinseco, la sua opera è testimonia­nza di uno degli aspetti migliori della civiltà europea.

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