E giunse l’ora della «Caporetto asburgica»
L’epilogo della guerra italoaustriaca, cominciata il 24 maggio 1915, avviene quasi d’improvviso nello spazio di una settimana. Nella notte fra il 28 e il 29 ottobre 1918 l’VIII Armata del generale Caviglia, con l’appoggio di alcuni contingenti alleati, varca il Piave e avanza verso Vittorio (il nome “Veneto” sarà aggiunto nel 1923). Per l’esercito austro-ungarico è una disfatta, che si può ben definire la “Caporetto asburgica”: più di 350mila soldati rimangono prigionieri. La firma dell’armistizio a Villa Giusti presso Padova, la sera del 3 novembre - efficace dal giorno 4, cent’anni oggi - sancisce la fine del conflitto.
Ma come fu vista la vittoria italiana dalla parte degli sconfitti? Il libro di Mario Isnenghi e Paolo Pozzato, I vinti di Vittorio Veneto, va alla scoperta delle loro testimonianze. L’introduzione di Isnenghi mette in luce l’incredulità della sconfitta, il disprezzo per le qualità militari degli italiani – Wälschen, i “fedifraghi” della Triplice Alleanza - e anche il risentimento contro gli ungheresi, che pure non avevano mostrato segni di scarsa affidabilità nel corso del conflitto, almeno fin quasi alla fine. «In queste memorie – scrive Isnenghi cogliamo i riflessi non solo di una guerra, ma di un mondo perduto e del grande e multiforme impero degli Asburgo che non c’è più».
Se il pregiudizio negativo nei confronti degli italiani spunta anche in scrittori e intellettuali come Thomas Mann e Hugo von Hoffmansthal, a maggior ragione si riscontra nella memorialistica degli ex combattenti, che sono fra gli autori protagonisti della parte antologica del volume, tradotta dal tedesco e commentata da Paolo Pozzato. A volte emerge invece il valore dell’esercito imperiale, come nell’ultima battaglia sul Monte Grappa, iniziata il 24 ottobre 1918 e raccontata da un ufficiale dello Stato Maggiore austriaco, dove si dice che l’attacco della IV Armata italiana del generale Giardino trovò i capisaldi austriaci pronti a reagire efficacemente.
Un’eccezione significativa è quella del generale Alfred Krauss, che pubblica il primo dei suoi libri a Vienna nel 1921: Le cause della nostra disfatta. Krauss infatti scrive che l’alleanza italiana del 1882 con l’Austria-Ungheria e la Germania «appariva contro natura», perché «con lo sguardo lungo della storia, l’irredentismo e l’appello all’unità nazionale erano stati la chiave di volta dell’affermazione politica di Cavour e del regno di Sardegna». E allora «bisognava impedire l’intervento dell’Italia nella guerra».
I VINTI DI VITTORIO VENETO a cura di Mario Isnenghi, Paolo Pozzato
il Mulino, Bologna, pagg. 386, € 26