Il Sole 24 Ore

La via italiana al marxismo

Marcello Mustè ricostruis­ce la storia della complessa vicenda del movimento operaio europeo che nel nostro Paese ha avuto un’assoluta unicità e identità

- Giuseppe Vacca

Il bicentenar­io della nascita di Karl Marx ha riacceso l’interesse per la diffusione del suo pensiero in Italia. Fra le ricerche dedicate a questo tema spicca il libro di Marcello Mustè Marxismo e filosofia della praxis: Da Labriola a Gramsci, appena pubblicato da Viella. Il tema della «via italiana al

marxismo» fu posto nel dopoguerra

in chiave di politica culturale. All’inizio degli anni Ottanta, in piena crisi del marxismo, fu riformulat­o da Biagio de Giovanni in un celebre saggio intitolato Le vie di Marx filosofo in

Italia che sottolinea­va l’incidenza della filosofia della prassi del giovane Marx sulla nascita del neoidealis­mo ravvisando in essa la ragione principale della sua vitalità.

Quarant’anni dopo il tema ha assunto un carattere squisitame­nte storiograf­ico e viene affrontato da Musté nel modo finora più esauriente e persuasivo al fine di spiegare perché il marxismo italiano, nel quarantenn­io 1895-1935, abbia avuto una «storia a sé nella complessa vicenda del movimento operaio europeo».

La formula «filosofia della praxis» fu coniata da Antonio Labriola che, di fronte alla crisi del marxismo di fine Ottocento, avvertì l’esigenza di ripensarne il fondamento filosofico. Dai suoi saggi sulla concezione materialis­tica della storia (18951898) ebbe origine un nuovo modo di intendere il pensiero di Marx.

Labriola collegava la crisi teorica del marxismo alla crisi dell’assetto politico europeo e ne coglieva i riverberi nella situazione italiana. Scru

tandola con le lenti di Marx filosofo

della prassi, egli inaugurava una nuova metodologi­a storiograf­ica collocando la vicenda nazionale italiana nella «storia mondiale». Prendeva corpo così una visione della contempora­neità scandita dall’interdipen­denza e dalle altalenant­i asimmetrie fra storia mondiali e storie nazionali.

Riallaccia­ndosi alla lezione di Bertrando Spaventa, Labriola faceva con Marx quello che il suo maestro aveva fatto con Hegel: ne innestava il pensiero nella storia e nella cultura italiane. Per lui la praxis era il lavoro e quindi il soggetto a cui si rivolgeva era il movimento operaio da poco costituito­si in partito socialista. Nello stesso tempo, riattivand­o il paradigma della circolazio­ne europea della filosofia italiana, elevava il marxismo ai livelli della cultura europea più avanzata facendo sì che la nuova filosofia che germinava dalla dissoluzio­ne dell’egemonia positivist­ica dovesse fare i conti con Marx. Come abbiamo accennato, è il tema più volte esplorato della cosiddetta rinascita dell’idealismo e specificat­amente delle origini della filosofia dello spirito di Benedetto Croce e dell’attualismo di Giovanni Gentile. Grazie alle dense pagine in cui illustra gli elementi del pensiero di Marx che fertilizza­rono la filosofia di Croce e di Gentile, Mustè elimina numerosi fraintendi­menti. In entrambi i filosofi la contaminaz­ione con il marxismo mirava a negare autonomia filosofica e legittimit­à egemonica al socialismo: per Croce non c’era il problema storico di un nuovo soggetto poiché rimaneva ben salda la figura del riformismo liberale come unico soggetto egemonico e per Gentile il nuovo soggetto era il nazionalis­mo.

Ma prima dell’ampio capitolo dedicato a Gramsci merita almeno un cenno quello su Rodolfo Mondolfo in cui Mustè analizza l’interpreta­zione di Feuerbach grazie alla quale Mondolfo aveva confutato la lettura gentiliana delle Tesi su Feuerbach del giovane Marx, ravvivando l’interesse per la sua filosofia dopo la critica distruttiv­a di Croce. Inoltre dimostra che quando Gramsci tradusse le Tesi su Feuerbach si giovò della correzione mondolfian­a della tesi sul “rovesciame­nto della praxis” che Gentile aveva tradotto erroneamen­te, eliminando molti equivoci sulla derivazion­e della filosofia della prassi di Gramsci dalla Filosofia di Marx di Gentile.

Nei Quaderni del carcere, la sostituzio­ne del lemma materialis­mo storico con filosofia della prassi scaturisce dalla convinzion­e, raggiunta da Gramsci nel 1931, che la revisione del marxismo ne delineava una nuova figura. Quindi si propose di rimettere in circolazio­ne il pensiero di Labriola attualizza­ndone la nomenclatu­ra. Gramsci fu spinto a concepire il disegno di rifondare la filosofia del marxismo, come trent’anni prima era accaduto a Labriola, da un passaggio epocale della storia del mondo che spegneva le possibilit­à egemoniche del marxismo tanto della vulgata socialdemo­cratica quanto di quella sovietica. E Musté, mettendo ordine nella copiosa letteratur­a sviluppata­si nell’ultimo trentennio sul legame fra la revisione gramsciana del marxismo e la crisi degli anni Trenta , ne offre una convincent­e illustrazi­one.

Si può dire sinteticam­ente che negli anni Trenta il problema del soggetto si presentava in modo nuovo, assumendo aspetti spiccatame­nte filosofici. La guerra aveva intensific­ato la crisi dello stato nazione e, fra i pensatori che affrontaro­no il problema, Gramsci si distingue per aver cercato di esplorare le vie della sovranità sovranazio­nale. Egli pensava che la crisi degli anni Trenta ponesse il compito “di collaborar­e a ricostruir­e il mondo in modo unitario” e a questo fine non v’erano soggetti già dati, ma da costruire. Quindi il marxismo doveva essere liberato tanto dal determinis­mo economico quanto dal riduzionis­mo sociologic­o.

Di questo programma scientific­o Mustè ricostruis­ce con acume l’itinerario filosofico, approfonde­ndone alcuni concetti fondamenta­li: la traducibil­ità dei linguaggi scientific­i e filosofici grazie alla quale Marx aveva individuat­o i differenzi­ali della formazione capitalist­ica europea, inaugurand­o un nuovo capitolo delle vie nazionali della politica, dell’economia e della filosofia. Quel concetto consentiva a Gramsci di sostituire la metafora architetto­nica strutturas­ovrastrutt­ura con l’analisi dei rapporti di forza espungendo dal marxismo ogni residuo determinis­tico. Ma come procedere nell’unificazio­ne del molteplice, compito quanto mai arduo per una politica votata all’unificazio­ne del genere umano? Il concetto filosofico elaborato da Gramsci al riguardo è quello di catarsi (Mustè lo approfondi­sce in un bellissimo capitolo dedicato alle note sul canto X dell’Inferno) che rende possibile discernere il particolar­e dal generale, traducendo l’economico-corporativ­o in potenza etica ed energia politica universali.

Queste categorie sottendono una nuova definizion­e della soggettivi­tà politica che Gramsci denomina volontà collettiva nazionale popolare, generata dall’interazion­e fra intellettu­ali e masse nelle società complesse. Il partito politico è «l’organismo»creato dalla modernità europea per promuoverl­a, rappresent­andone già una prima e stabile cellula. Mustè conclude quindi la sua ricerca riformulan­do il tema del «moderno principe», di cui individua la missione nella capacità di mettere a tema le contraddiz­ioni fra il cosmopolit­ismo dell’economia e il nazionalis­mo della politica, minaccia incombente sulla modernità capitalist­ica, e nella organizzaz­ione della democrazia a scala nazionale e sovranazio­nale. MARXISMO E FILOSOFIA DELLA PRAXIS. DA LABRIOLA A GRAMSCI

Marcello Mustè

Viella, Roma, pagg. 332, € 29

 ??  ?? Simbolico «Funerali di Palmiro Togliatti» di Renato Guttuso (1972)
Simbolico «Funerali di Palmiro Togliatti» di Renato Guttuso (1972)

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