COM’È NARRATIVA LA FILIERA DEL CIBO
La pubblicità murale, poi Carosello hanno fatto la fortuna dei prodotti alimentari industriali, negli anni 50 e 60, mentre il locale o il «genuino» si reggeva solo nella gita fuori porta o grazie all’amico dell’amico di campagna. Quindi sono arrivate le sagre, i mercati, i domenicali così gli agricoltori sono scesi a valle con le loro produzioni, mentre le botteghe di paese hanno continuato a preferire formaggi, salumi, paste e dolci industriali, conosciuti per il battage pubblicitario. Tra gli anni 80 e primi anni 90 il genuino o fatto a mano è diventato prodotto locale o del territorio o artigianale, divulgati da eventi e da guide, ma ristretti agli intellettuali della gola. Qua e là diverse botteghe d’avanguardia hanno cominciato altresì ad offrirli assieme ai più cari prodotti industriali.
Ed eccoci però al grande momento l’inizio della proliferazione della marchiatura: l’Unione Europea ci propina Dop, Igp, Stg e per il vino Doc, Docg. Queste sigle, tra l’altro, poco conosciute, create per garantire qualità, hanno allargato spesso le maglie dei loro stessi disciplinari. A seguire eccoti Bio, Biodinamico, Naturale,Veganoepoi«Senza»(magari poi arriva «Con»), Chilometro
zero. L’ultimo must di successo è
la narrazione della filiera. Il risultato di questa evoluzione è che in ogni fase, pensata per favorire le produzioni “artigianali”, l’industria è stata capace di sfruttare al meglio le stesse valenze di comunicazione. Sine qua non