L’ineffabile maestria di Léon Bakst
All’Annabel’s di Londra, uno dei più eleganti, famosi e inaccessibili nightclub del mondo, in un sottopiano di Berkeley Square, Mayfair, entravi solamente se eri un artista, una rockstar conclamata o almeno uno del giro della famiglia reale: una volta ci mise piede persino la regina (e ho detto tutto), un’altra lasciarono fuori George Harrison: non aveva la cravatta. Dentro, l’arredamento era perfetto, quel sottilissimo confine che si ferma appena prima del kitsch (e comunque non lo teme) e che gioisce della qualità al massimo, anche senza bisogno di avere il capolavoro museale. “Era”, perché il 20 novembre va all’asta da Christie’s tutto ciò che è stato per anni là dentro (date un occhio al catalogo e vi renderete conto): e, tra le tante cose, la quadreria. Qualche pezzo notevole, molti disegni bellissimi, sublimi illustrazioni jazz di Paul Colin e loro: i disegni di Léon Bakst.
Figurini eccezionali, come sapeva farli solo lui, al secolo Lev Rosenberg (1866-1924, Bakst era il cognome del nonno materno): anima e costumista dei Balletti russi, se vogliamo “abbassarlo” solo a questo – collaborò con alcuni dei maggiori compositori dell’epoca come Stravinskij, Ravel, Reynaldo Hahn e Debussy –: in realtà una delle personalità più interessanti ed eccentriche del secolo scorso, la cui arte deve essere ancora, purtroppo, riscoperta, e merita, come dire?, il massimo rispetto possibile. Non c’è dubbio che le sue capacità sono paragonabili a quelli che siamo abituati a chiamare artisti, solo perché nei musei si espongono generalmente quadri e non bozzetti o vestiti o scenografie: retoriche ormai superate.
Personalmente, lo adoro. E, finalmente, dopo la grande esposizione nel 2016 di Montecarlo, e rispettivo, ottimo, catalogo, arriva in Italia, a Venezia: la mostra è benemerita, un gioiellino da spolverare e tenere in vetrina. Riempie di gioia gli occhi e il secondo piano di Palazzo Cini. A cura di Maria Ida Biggi e Natalia Metelitsa, fino al 19 novembre (è durata troppo poco tempo) è interamente costruita sui bozzetti e i figurini bakstiani della collezione del Museo di San Pietroburgo. I materiali sono integrati da alcuni rari programmi di sala e da raccolte iconografiche appartenute al maestro coreografo Aurél M. Milloss, di cui la Fondazione Giorgio Cini conserva l’archivio. Purtroppo non resterà un catalogo, ma speriamo sia, questa, solo la prima occasione di un lavoro da aumentare, in profondità, ampiezza, ricchezza e far tornare in Italia.
I suoi abiti erano sogni fatti stoffa, rilucenti bellezza, colore, soffici dettagli, lampi di meraviglia: li indossavano le grandi attrici, la Rubinstein, la divina marchesa Casati, e influenzarono un’epoca, un gusto, un’atmosfera. Collaborava con le grandi case di moda, non sempre al meglio. Poiret, sarto simbolo della Bella Epoca, una volta raccontò che le donne arrivavano da lui con i disegni di Bakst e chiedendo di riprodurli. E lui si rifiutava, non volendo assecondare creazioni altrui. Lo “vendicò” Yves Saint Laurent che decenni dopo disegnò una intera collezione ispirata a Bakst. Léon, purtroppo, morì troppo giovane per proseguire la sua arte. Avrebbe fatto chissà quali altre faville.