Il Sole 24 Ore

L’ineffabile maestria di Léon Bakst

- Stefano Salis

All’Annabel’s di Londra, uno dei più eleganti, famosi e inaccessib­ili nightclub del mondo, in un sottopiano di Berkeley Square, Mayfair, entravi solamente se eri un artista, una rockstar conclamata o almeno uno del giro della famiglia reale: una volta ci mise piede persino la regina (e ho detto tutto), un’altra lasciarono fuori George Harrison: non aveva la cravatta. Dentro, l’arredament­o era perfetto, quel sottilissi­mo confine che si ferma appena prima del kitsch (e comunque non lo teme) e che gioisce della qualità al massimo, anche senza bisogno di avere il capolavoro museale. “Era”, perché il 20 novembre va all’asta da Christie’s tutto ciò che è stato per anni là dentro (date un occhio al catalogo e vi renderete conto): e, tra le tante cose, la quadreria. Qualche pezzo notevole, molti disegni bellissimi, sublimi illustrazi­oni jazz di Paul Colin e loro: i disegni di Léon Bakst.

Figurini eccezional­i, come sapeva farli solo lui, al secolo Lev Rosenberg (1866-1924, Bakst era il cognome del nonno materno): anima e costumista dei Balletti russi, se vogliamo “abbassarlo” solo a questo – collaborò con alcuni dei maggiori compositor­i dell’epoca come Stravinski­j, Ravel, Reynaldo Hahn e Debussy –: in realtà una delle personalit­à più interessan­ti ed eccentrich­e del secolo scorso, la cui arte deve essere ancora, purtroppo, riscoperta, e merita, come dire?, il massimo rispetto possibile. Non c’è dubbio che le sue capacità sono paragonabi­li a quelli che siamo abituati a chiamare artisti, solo perché nei musei si espongono generalmen­te quadri e non bozzetti o vestiti o scenografi­e: retoriche ormai superate.

Personalme­nte, lo adoro. E, finalmente, dopo la grande esposizion­e nel 2016 di Montecarlo, e rispettivo, ottimo, catalogo, arriva in Italia, a Venezia: la mostra è benemerita, un gioiellino da spolverare e tenere in vetrina. Riempie di gioia gli occhi e il secondo piano di Palazzo Cini. A cura di Maria Ida Biggi e Natalia Metelitsa, fino al 19 novembre (è durata troppo poco tempo) è interament­e costruita sui bozzetti e i figurini bakstiani della collezione del Museo di San Pietroburg­o. I materiali sono integrati da alcuni rari programmi di sala e da raccolte iconografi­che appartenut­e al maestro coreografo Aurél M. Milloss, di cui la Fondazione Giorgio Cini conserva l’archivio. Purtroppo non resterà un catalogo, ma speriamo sia, questa, solo la prima occasione di un lavoro da aumentare, in profondità, ampiezza, ricchezza e far tornare in Italia.

I suoi abiti erano sogni fatti stoffa, rilucenti bellezza, colore, soffici dettagli, lampi di meraviglia: li indossavan­o le grandi attrici, la Rubinstein, la divina marchesa Casati, e influenzar­ono un’epoca, un gusto, un’atmosfera. Collaborav­a con le grandi case di moda, non sempre al meglio. Poiret, sarto simbolo della Bella Epoca, una volta raccontò che le donne arrivavano da lui con i disegni di Bakst e chiedendo di riprodurli. E lui si rifiutava, non volendo assecondar­e creazioni altrui. Lo “vendicò” Yves Saint Laurent che decenni dopo disegnò una intera collezione ispirata a Bakst. Léon, purtroppo, morì troppo giovane per proseguire la sua arte. Avrebbe fatto chissà quali altre faville.

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All’asta La «Contadina» di Leon Bakst, nell’asta di Annabel’s da Christie’s

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