SE MIELI SMONTA LA TESI DEL REGIME
L’armadellaragionevolezzaè «in mano alla destra», dice Paolo Mieli a Silvia Truzzi sul«Fatto». «Congenitore1e2–aggiunge–la sinistra, cade nel comico». Così spiega l’ex direttore del«Corriere della Sera», nonché storico, facendosi carico (specie di questi tempi) di un inaudito – «Si straparla di fascismo, non vedo regimiinagguato»–esicapisceallora cheinlui,allievodiRenzoDeFelice, c’è un sovrappiù tutto di necessità e virtù: «Per il puro gusto diusareunaparola–fascista!,che sembra esprimere la condanna assoluta – si rinuncia all’analisi».
Ed è qualcosa che va a coincidere con la responsabilità – intellettuale – onesta e urgente quando da Dante a Shakespeare fino ad andare indietro, a Omero, o a Eraclito, nello stereotipo sono ridotti all’anatema: sessisti, razzi
sti… fascisti!
«Chiamo in causa la mia sinistra», argomenta Mieli e, forte dei suoi Lampi, il suo ultimo libro sulla storia, vampeggia: «La battaglia è contro la nostra pigrizia mentale». E fa subito un esempio choc: il Gramsci edulcorato. «Precursore dell’Italia democratica, fratello maggiore di Togliatti» mentre, invece,«non è affatto un nonno del Pd, con cui non ha nulla da spartire». Proprio un 1-2. In un solo lampo (1), tutto il buio del politicamente corretto (2).