Il Sole 24 Ore

Europa divisa, ancora un rinvio sulla web tax

La Commission­e propone di tassare del 3% il fatturato dei colossi informatic­i L’Austria spera in un’intesa a dicembre, la Germania vuole rimandare al 2020

- Beda Romano

Il tema fiscale si sta rivelando ancora una volta in Europa un terreno scivoloso, ricco di incognite, dall’impatto potenzialm­ente dirompente. Una discussion­e tra i ministri delle Finanze dell’Unione ha mostrato ieri qui a Bruxelles numerose divisioni sull’opportunit­à di imporre una tassa europea nel settore digitale. La stessa Germania ha proposto di aspettare un accordo a livello globale nel 2020 prima di applicare una eventuale soluzione comunitari­a.

Sul tavolo dei ministri ieri era una proposta della Commission­e europea che prevede un’imposta del 3% sul fatturato dei grandi gruppi informatic­i, da Apple ad Amazon, a cui viene rimprovera­to di eludere il fisco grazie proprio alla loro natura digitale (si veda Il Sole 24 Ore del 22 marzo scorso). A dispetto di una tradizione secolare la proposta prevede una tassazione delle vendite, non dei profitti. Proprio questo aspetto è tra quelli che non piacciono a molti Paesi membri.

La riunione di ieri ha costretto la Germania ad uscire da una ambiguità dettata da due consideraz­ioni: l’eventuale reazione negativa degli Stati Uniti, a cui appartengo­no molte aziende del settore; e la paura di creare un precedente tassando il fatturato anziché gli utili. Nella riunione, il ministro delle Finanze Olaf Scholz ha premesso che un coordiname­nto europeo in questo campo è certamente essenziale, così come è importante imporre una equa tassazione alle imprese digitali.

Ciò detto, il ministro ha aggiunto che la sua preferenza va ad un accordo a livello globale, piuttosto che europeo. La Germania «è pronta a introdurre la proposta della Commission­e, eventualme­nte emendata, se nell’estate del 2020 l’Organizzaz­ione per la cooperazio­ne e lo sviluppo economico (Ocse) non avrà definito una soluzione globale di tassazione dei gruppi digitali». Da qui ad allora, Berlino è pronta a continuare i negoziati tra i Ventotto per trovare un’intesa su una direttiva tecnicamen­te complessa.

Nei fatti, il governo tedesco ha capovolto la sua posizione. In precedenza la soluzione comunitari­a doveva essere un ponte verso una soluzione globale. Da ieri, Berlino considera che la soluzione globale abbia la precedenza su quella europea. La scelta tedesca non è piaciuta a Parigi, che da mesi insiste per una tassazione dei giganti digitali. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha fatto buon viso a cattiva sorte, accettando di aspettare una proposta Ocse, ma chiedendo entro fine anno un accordo europeo.

La presidenza austriaca dell’Unione ha fatto propria questa posizione, e ieri per bocca del suo ministro delle Finanze Hartwig Löger ha esortato i Ventotto a trovare un’intesa di massima entro dicembre. Accordo vero e proprio o solo dichiarazi­one politica? Ieri sera non era chiaro a quale esito i governi possano realmente ambire. Nei fatti molti Paesi sono combattuti tra il desiderio di rispondere alla richiesta del loro elettorato di tassare equamente i giganti digitali e la paura di inimicarsi gli Stati Uniti.

Nel dibattito di ieri, Irlanda, Svezia e Danimarca hanno criticato senza se e senza ma la proposta comunitari­a. In un ambito che richiede l’unanimità, il loro voto è cruciale. Probabilme­nte, i più pessimisti già pensano a un’eventuale cooperazio­ne rafforzata. Nel frattempo 12 Paesi hanno varato o stanno per varare una propria tassa digitale. Ieri il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha indicato di sperare che «sarà trovato un accordo entro fine anno, altrimenti l’Italia adotterà un proprio sistema».

L’idea comunque di trovare un accordo europeo entro fine anno ha come obiettivo frenare il moltiplica­rsi di soluzioni nazionali. Tra gli aspetti tecnici che stanno creando difficoltà nel negoziato c’è anche l’idea di una clausola che prevede l’automatica disapplica­zione della direttiva una volta che vi sarà una soluzione a livello globale. Intanto la Germania ha chiesto di escludere dal campo di applicazio­ne della tassa tutte le attività che in un modo o nell’altro riguardino il settore automobili­stico.

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