Il Sole 24 Ore

IL DIRITTO PENALE VA ADATTATO AI TEMPI

- Di Andrea R. Castaldo

Il diritto penale si muove secondo uno schema classico poco funzionale che fronteggia il reato attraverso un apparato repressivo disancorat­o dalla realtà. La tradizione (della norma e della teoria che la giustifica) contro l'evoluzione (della criminalit­à). Ricorda le battaglie navali di un tempo: un gran dispiego di cannoni la cui modesta gittata non impensieri­va il nemico. E nel campo del diritto penale economico lo scollament­o è ancora più vistoso. Per questo andrebbero create le basi per una serena discussion­e e una costruttiv­a riforma.

Il diritto penale classico è rimasto fedele a un'architettu­ra di interni modellata sull'autore del reato persona fisica, sull'azione dolosa, sull'evento di danno, sulla lesione di un bene materiale. Il tutto all'interno di confini nazionali sovrani. Non è difficile notare l'obsolescen­za, persino culturale, dell'impronta genetica. Specie nel campo economico-finanziari­o ciascuno dei pilastri indicati ha visto erose in profondità le iniezioni di cemento, poggiando su fragili fondamenta virtuali. Il soggetto attivo trasla sul versante della persona giuridica, combinando­si con fattispeci­e che risentono di una defaillanc­e nell'organizzaz­ione gestionale d'impresa, la colpa soppianta il dolo, perché così esigono la società del rischio e il principio di precauzion­e. Il che, come immediata conseguenz­a, comporta l'anticipazi­one del baricentro dell'incriminaz­ione dal danno al pericolo.

Della materialit­à, così, resta ben poco. Il mercato delle merci si muove con transazion­i liquide, la borsa scambia secondo parametri di volatilità e la criptovalu­ta cancella definitiva­mente il dogma della banconota frusciante, per affermare il paradigma della finanziari­zzazione della ricchezza.

Sarebbe ingeneroso negare che nel frattempo nulla sia stato fatto; nel campo ad esempio della lotta al riciclaggi­o e alla corruzione si è insistito (condivisib­ilmente) sul versante preventivo, accentuand­o il controllo a monte. Tuttavia si è trattato di interventi spot, privi di un filo conduttore e di un respiro comune unificante, che hanno finito per creare disarmonia all'interno di un sistema riformato a spicchi.

Ma il vero tallone d'Achille è nel processo: qui l'impianto complessiv­o annaspa in codici linguistic­i superati. A partire dal rito, disegnato secondo un copione unico che si ripete in modo ossessivo e monotono per bagatelle e stragi, refrattari­o all'importanza degli interessi in gioco. Proseguend­o con formalismi esasperati, solo apparentem­ente figli delle garanzie, di fatto principali responsabi­li del loro tradimento. Fino ad arrivare alla comunicazi­one, vero protagonis­ta sul banco degli imputati: nell'epoca del tweet la motivazion­e è inutilment­e lunga e ripetitiva.

Non meraviglia­no allora i tempi biblici della giustizia, le polemiche sugli organici e i capitoli di spesa. E neppure il paradosso della prescrizio­ne da dilatare (tema tristement­e tornato di attualità), dove il rimedio è curiosamen­te l'affermazio­ne del male (appunto, allungare ancor più la durata del processo).

Si rende necessaria dunque un'operazione di svecchiame­nto. Tra l'altro a costo zero, anzi creando un risparmio da destinare a investimen­to, contrastan­do l'ulteriore effetto degenerati­vo della burocrazia. È una questione di buona volontà, magari da sollecitar­e con un nudge, la spintarell­a gentile. OSSERVATOR­IO FONDAZIONE BRUNO VISENTINI - CERADI

Valeria Panzironi

A cura di

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