L’ombra dell’impeachment su un’America già lacerata
Prospettive e rischi al centro di un convegno del Consiglio per le Relazioni Italia-Usa Visioni opposte del Paese non escludono che in alcuni campi si possa collaborare
Più che un Paese diviso, l’America è un Paese lacerato dopo il voto di Midterm. Se da un lato il Congresso bicefalo (maggioranza democratica alla Camera, repubblicana al Senato) rappresenta teoricamente un sistema di contrappeso al presidente Donald Trump, dall’altro, sul piano interno, rischia di esacerbare il dibattito politico: con pesanti ricadute a livello internazionale.
È questa l’immagine che ha preso forma l’altra sera a Milano al convegno organizzato dal Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti, ora presieduto dall’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco. In collegamento video, il punto di vista repubblicano è stato espresso da Tom Ridge, ex governatore della Pennsylvania, mentre il controcanto democratico ha visto l’intervento di Kathleen Kennedy Townsend, figlia di Robert ed ex vicegovernatrice del Maryland.
Visioni opposte dell’America, al momento inconciliabili, soprattutto con il pensiero rivolto alle presidenziali del 2020. Tom Ridge teme una Camera dei deputati interamente votata alla partita dell’impeachment, strategia che, se dovesse essere confermata, sarebbe «un terribile errore» poiché renderebbe ancora più arroventato il clima politico. La rappresentante democratica conferma che sarà battaglia e che alla Casa Bianca servirà poco o nulla aver esautorato il procuratore generale Jeff Sessions per depotenziare l’inchiesta sul Russiagate condotta da Robert Mueller.
Ciononostante, ha puntualizzato Kathleen Kennedy, la campagna elettorale democratica impostata da Nancy Pelosi non ha voluto calcare la mano sull’impeachment: «È stata una campagna molto concreta, vicina ai problemi veri degli americani, dall’assistenza sanitaria, al costo proibitivo di gran parte dei medicinali alla corruzione». Eppure, nonostante la tensione politica, su alcuni di questi punti, democratici e repubblicani non escludono di poter collaborare. Si è parlato molto del piano di investimenti infrastrutturali, sorta di priorità bipartisan per ammodernare strade, ponti e ferrovie e sostenere un ciclo economico già fortemente espansivo. E lo stesso Ridge indica che un compromesso non si può escludere sulla drastica riduzione dei prezzi di molti farmaci.
Sul commercio internazionale Trump continuerà ad avere mano libera o quasi visto lo scarso potere d’interdizione del Congresso in materia. La sua disponibilità al compromesso o al rientro dalla guerra commerciale con la Cina sarà inversamente proporzionale ai guai che la Camera potrà arrecargli con nuove inchieste, a partire dalle mancate dichiarazioni dei redditi di quando era “solo” un imprenditore. Più salirà la pressione interna, secondo alcuni relatori intervenuti al convegno, più Trump tenderà a scaricarla all’esterno.
Il “fondale” di questa coabitazione istituzionale a Capitol Hill è un Paese che, sostiene il politologo Moisés Naim, vive quasi esclusivamente di contrapposizioni. Realtà contro fake news, città e periferie contro le zone rurali, California contro Iowa. Anche l’impressionante mobilitazione dei votanti, oltre 100 milioni, è figlia, più che dell’entusiasmo per l’esercizio democratico, della polarizzazione della società americana, una vera e propria tribalizzazione. Gioca ancora l’effetto Trump, un effetto che ha portato durante la campagna elettorale ad alcune importanti e inspiegabili omissioni da parte del presidente. L’economia - nonostante una crescita vicina al 3%, la piena occupazione e l’aumento dei salari - non è mai stata un tema centrale del dibattito perché evidentemente poco divisiva. Quasi nulla, poi, sulle armi, nonostante il moltiplicarsi delle sparatorie di massa in luoghi pubblici e nelle scuole; molto invece sui migranti e sulla biblica carovana che dal Centro America premeva al confine tra Messico e Stati Uniti. I prossimi due anni promettono di essere più difficili dei due appena passati.