Quando i libri ci insegnavano a pensare
Susanna Berger ha esplorato i tesori delle biblioteche alla ricerca delle tavole e dei diagrammi che rendevano visibile il sapere. Un’alleanza filosofi-artisti che dava un ordine chiaro e «popolare» alla materia trattata
IÈ affascinante vedere come, fra Cinque e Seicento, vengono costruiti dei libri che colgono a pieno queste nuove possibilità, nel senso che si propongono di guidare passo passo il percorso che l’occhio del lettore compie sulla pagina, così da imprimere ordinatamente, via via, nell’occhio della sua mente ciò che si vuole trasmettere.
È il caso ad esempio del programma editoriale della Accademia veneziana della Fama, che ebbe vita splendida anche se breve, fra il 1557 e il 1561. Fondata da Federico Badoer, aveva sede nel suo palazzo; organizzava lezioni pubbliche, aveva come suo segretario Bernardo Tasso, il padre di Torquato e soprattut
to cercava di rifondare l'enciclopedia del sapere affidandosi ai libri: Paolo Manuzio, il discendente del grande Aldo, era il suo stampatore. Ne ripercorre ora con cura testi e vicende il libro di Valeria Guarna, che dà una nuova edizione dei progetti editoriali e porta alla luce anche documenti inediti o poco noti. L’Accademia si proponeva di “rendere visibile il sapere”, di dare dunque corpo a ciò che non lo ha, di rendere visibile ciò che visibile non è. Il compimento di questa magia era affidato soprattutto alla costruzione di grandi alberi, tavole, diagrammi, che accompagnavano e sintetizzavano il testo. Il libro a stampa si impadroniva infatti così dei frutti della nuova logica e della nuova retorica, che si rifacevano all’insegnamento di Rodolfo Agricola, un umanista olandese che aveva studiato in Italia, e avrebbero avuto una nuova e fortunata versione nell’opera di Pierre de la Ramée, il calvinista francese ucciso nella notte di San Bartolomeo. L’uso dell’albero, del diagramma, della sinossi, permetteva di dare un ordine visibile alla materia trattata; era possibile seguire il metodo in cui ogni argomento era stato trattato, diviso, classificato. In questo modo conoscenza e memoria andavano di pari passo, crescevano insieme. Orazio Toscanella, un maestro di scuola e un collaboratore dei principali editori veneziani, avrebbe realizzato i programmi della Accademia Veneziana anche dopo la sua chiusura. I suoi libri, con le tavole, gli alberi, i diagrammi, testimoniano un momento di grande fiducia nella possibilità di usare il libro per diffondere la cultura, per facilitarne l’accesso.
Ma tra Cinque e Seicento accade qualcosa di più. Non solo la pagina a stampa usa i diagrammi per riflettere i procedimenti della mente, per costruire una mappa ordinata del metodo attraverso cui si conosce, ma traduce anche in immagini le metafore della tradizione, come ad esempio il giardino, il teatro, l’edificio, il paesaggio, il viaggio per mare; vi colloca iscrizioni, anima i diversi luoghi di personaggi, di animali, di oggetti. In questo modo chi legge (e guarda) deve ripercorrere la complessa trama dei luoghi e delle immagini, così da ricomporre nella sua mente i grandi insegnamenti filosofici, per lo più ancora derivati da Aristotele: la logica, la metafisica, la filosofia naturale ad esempio. È un raffinato gioco intellettuale, dove le metafore prendono corpo e sono prese alla lettera: il libro stampato non è più solo come un giardino, o un teatro, ma diventa un giardino o un teatro. E non si tratta solo di libri, ma spesso anche di stampe, di fogli volanti con incisioni che a volte raggiungono dimensioni notevoli, diventano quasi dei manifesti; passano tra le mani degli studenti e possono anche venire esposti nelle aule come strumenti didattici, o nei teatri di anatomia, per aiutare a collocare la parte nel tutto, il corpo umano entro l’ordine della filosofia naturale.
Questo mondo a suo modo visionario e spesso dimenticato viene ora riportato alla luce grazie alle ricerche di una giovane storica dell’arte americana, Susanna Berger, e a uno splendido libro pubblicato da Princeton University Press che non solo contiene circa 200 immagini, a colori e in bianco e nero, ma anche accetta per così dire la sfida del materiale visivo che presenta, riproducendone alcuni esempi a grandezza naturale. Con grande intelligenza critica e finezza di scrittura Susanna Berger presenta i risultati di una lunga ricerca, che l’ha portata a esplorare i tesori delle biblioteche, degli archivi, dei gabinetti di stampe. L’autrice analizza da vicino gli affollati labirinti di immagini prodotti soprattutto fra Cinque e Seicento, fino a lambire il Settecento. In primo piano vengono così i frutti della collaborazione fra filosofi e artisti, come nel caso del francescano Martin Meurisse o del carmelitano Jean Chéron e dell’incisore Léonard Gaultier, che operano nei primi decenni del Seicento e che realizzano delle fortunate visualizzazioni della logica, della fisiologia, della filosofia morale. Centrale nel libro è l’idea di visual thinking, di uno stretto rapporto cioè che si viene a creare fra il pensiero e le immagini, le quali non solo trasmettono il pensiero ma in un certo senso aiutano a crearlo e a svilupparlo. A riprova della sua tesi l’autrice prende in esame anche un materiale prezioso e inconsueto, quali gli appunti che gli studenti prendevano a lezione e per preparare gli esami, e gli alba amicorum, i quaderni su cui si chiedeva agli amici di scrivere o disegnare qualcosa, là dove via via si affacciavano anche il comico, l’ironia, lo scherzo.
Ciò che sta nel cuore di questa produzione, e cioè appunto il nesso fra pensiero e immagini, il ruolo della fantasia, viene messo ben presto in discussione. Susanne Berger prende le mosse proprio dal dibattito che si svolge nel 1619, a Parigi. Da una parte troviamo Martin Meurisse, il francescano professore di filosofia che, come abbiamo già ricordato, inventa alcune delle tavole più famose che visualizzano la logica, o la filosofia naturale; sul fronte opposto c’è un pastore protestante, François Oyseau, che critica appunto l’uso delle immagini per insegnare filosofia; per lui si tratta solo di frivole allegorie, esempio di una logica debole e sbagliata. È una questione di lunga durata. A noi vengono in mente le parole con cui Giambattista Vico accompagna l’immagine che nel 1744 apre la sua Scienza nuova: «Diamo qui a vedere una tavola delle cose civili, la quale serva al leggitore per concepire l’idea di quest’opera avanti di leggerla, e per ridurla più facilmente a memoria, con tal aiuto che gli somministri la fantasia, dopo di averla letta».
(nella foto),