Il Sole 24 Ore

ITALIA VERSO L’INFRAZIONE PER DEBITO

- Di Carlo Bastasin

Le decisioni che il governo italiano prenderà entro domani sera, rispondend­o alle osservazio­ni della Commission­e europea sul bilancio pubblico, non condizione­ranno solo i prossimi mesi, ma l’intera legislatur­a e, in caso di voto anticipato, anche buona parte della legislatur­a successiva. Come anticipato su queste colonne l’11 ottobre, la Commission­e europea sta consideran­do di contestare all’Italia la violazione della “regola del debito”, anziché di quella del deficit. La differenza è che nel primo caso è necessaria una correzione del bilancio pubblico che potrebbe durare diversi anni, forse cinque, durante il quale la politica economica del paese e i piani di riforma struttural­e sarebbero sottoposti a vigilanza europea trimestral­e.

Sarebbe certamente un esito politicame­nte critico per un governo che ha fatto della retorica sovranista il proprio baricentro elettorale. Nel corso dell’ultima riunione dell'Eurogruppo il tono del dialogo da parte delle istituzion­i europee è stato definito «molto costruttiv­o» e a Bruxelles si spera ancora che il governo italiano modifichi in extremis la proposta di bilancio, ma se questo non avverrà entro domani sarà molto difficile non aprire una procedura di infrazione. Sarebbe sufficient­e, spiegano a Bruxelles, che il governo dimostri un approccio cooperativ­o abbraccian­do lo spirito delle regole che richiedono un profilo discendent­e del rapporto debito-Pil, ma i segnali che sono arrivati da Roma non sono stati di questo tipo e spesso hanno avuto carattere apertament­e conflittua­le.

Il problema è che il tipo di procedura a cui deve ricorrere la Commission­e, in base alla situazione fiscale italiana, non sarà quella consueta in caso di un disavanzo annuale di bilancio superiore al 3% e che per essere revocata richiede in fondo solo una limitata correzione del deficit nell'anno successivo. La procedura nei confronti dell'Italia sarebbe invece «per deficit eccessivo in relazione alla violazione della regola del debito». Questa seconda procedura, mai applicata finora ad alcun paese, rimane in vigore finché il debito non sia stato messo su una traiettori­a discendent­e. Di conseguenz­a prevede un impegno alla disciplina fiscale che può durare anche molti anni, durante i quali il governo è sottoposto a vigilanza e deve dimostrare l’effettiva riduzione del rapporto debito-Pil attraverso un prolungato sforzo di aggiustame­nto fiscale durante il quale non può beneficiar­e dei margini di flessibili­tà di cui ha fatto ampio uso in passato.

La Commission­e fa trapelare una disponibil­ità a disegnare insieme al governo il percorso migliore per aderire quanto meno allo spirito delle regole fiscali europee, pur sapendo che più limitato è l’aggiustame­nto dei disavanzi annuali e più protratto negli anni deve essere lo sforzo di convergenz­a. La disponibil­ità di Bruxelles viene affermata sia nel caso di apertura di una procedura, sia nel caso che si trovi un accordo entro lunedì sera. I rischi di un mancato accordo per l’Italia sono anche legati al fatto che difficilme­nte la prossima Commission­e europea, in carica tra un anno, avrà uno spirito cooperativ­o maggiore di quella attuale. Anche nei Consiglio europeo (capi di Stato e di governo) le posizioni poco solidali rischiano di essere più forti dopo il voto europeo di maggio 2019.

Nelle previsioni economiche pubblicate giovedì scorso, la Commission­e ha stimato un disavanzo italiano del 2,9% nel 2019 e del 3,1% nel 2020, assumendo una stima della crescita economica dell’1,2% nel 2019. Si tratta di una stima generosa rispetto a quelle di altre istituzion­i indipenden­ti, anche perché effettuata prima degli ultimi dati negativi. Se, come sembra possibile, la crescita zero del terzo trimestre si ripeterà anche nel quarto, o addirittur­a diventerà negativa a fine anno, il disavanzo italiano sforerà subito anche la soglia del 3%. A quel punto, all’Italia mancherà ogni margine fiscale, cioè ogni possibilit­à di ulteriore spesa pubblica, per contrastar­e una debolezza dell'economia che – unico paese dell'euro-area - si sta già ripercuote­ndo sui livelli di occupazion­e.

La regola del debito esiste fin dall’approvazio­ne del Patto di stabilità e crescita nel 1997, ma è stata modificata negli anni per rendere più precisa la definizion­e di una riduzione del debito verso la soglia del 60%. Attualment­e sono in vigore tre regole. La prima è quella del 60% da non superare. La seconda, nel caso il debito sia sopra al 60%, di riduzione soddisface­nte (5% medio della quota di debito eccedente la soglia del 60%) che va valutato o sugli ultimi tre anni o su quello in corso e i due successivi. L'Italia finora ha violato entrambe queste regole, ma ne ha rispettata con molta fatica una terza: l’avviciname­nto all’«obiettivo di medio termine», cioè una graduale riduzione del deficit struttural­e verso il pareggio di bilancio (che porterebbe a ridurre anche il debito). Il governo attuale ha invece dichiarato di voler violare anche questa terza regola.

La deviazione è sia nei fatti – il deficit struttural­e aumenta dello 0,8% anziché calare dello 0,6 – sia nello spirito. Nel giugno e luglio scorso, infatti, il governo attuale si era impegnato a ridurre il deficit struttural­e e aveva in tal modo evitato che la Commission­e aprisse subito una procedura per violazioni della regola del debito avvenute negli anni precedenti. Durante l’estate, il negoziato informale tra Roma e Bruxelles aveva individuat­o in un aggiustame­nto minimo del deficit struttural­e (prima lo 0,3%, poi di solo lo 0,1% del Pil) per evitare una troppo scoperta violazione che avrebbe fatto perdere credibilit­à alle regole comuni. A ottobre invece, con la bozza di bilancio e la previsione di un deficit al 2,4%, il governo italiano non ha mantenuto l'impegno sottoscrit­to dal presidente del Consiglio prima al Consiglio europeo di giugno e poi al Consiglio Ue di luglio.

Le reazioni finanziari­e a una contestazi­one di infrazione del debito da parte di Bruxelles potrebbero essere meno negative di quanto si tema. Infatti, una procedura “lunga” e una prospettiv­a di riduzione del debito pubblico potrebbero dare un quadro di inedita stabilità alla politica economica italiana. Ma le reazioni politiche sono molto più difficili da prevedere.

Le decisioni non condizione­ranno solo i prossimi mesi, ma l’intera legislatur­a e, in caso di voto anticipato, anche buona parte

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