Un modello di corruzione
Mose, ovvero «Modulo sperimentale elettromeccanico». Mose che sta anche, numeri alla mano, per sistema: il sistema che avrebbe dovuto realizzare la più grande opera infrastrutturale d’Italia (qualcuno dice d’Europa) e invece di fatto ha prodotto il manuale della «Perfetta corruzione». Un passo indietro, in pochi sanno che già alla nascita quest’opera è emblematica: parte come sperimentale la più «definitiva» delle opere. Era il 1975 e i veneziani aveva ancora negli occhi i disastri dell’alluvione nel 1966. Il ministero dei Lavori pubblici lancia un appalto anzi un concorso internazionale, vi partecipano sei ricercatori italiani e un olandese. Nasce in questo modo il «progettone»: la versione definitiva sarà approvata nel 2002.
Il secondo punto del perché questa è un’opera paradigmatica è la portata dell’inchieste giudiziarie cominciate nel 2014 e in parte processualmente ancora in corso, come spiega Raffaele Cantone, il magistrato che presiede l’Autorità nazionale anticorruzione. Cantone definisce il Mose un unicum al punto da affermare che «una vicenda molto più inquietante, piú grave di quello che è stato scoperto sull’Expo». E nel fare riferimento alla legge istituita, ossia alla cornice normativa che è stata l’atto di avvio di quest’opera, allude a un’altra patologia italiana, vale a dire l’adesione alla logica dell’emergenza.
Terzo aspetto: la messa a protocollo di un modello di gestione economica degli appalti pubblici che invece di creare ha sottratto, che invece di produrre efficienza ha generato clientelismo. Un modello che ha drenato ben oltre un terzo dei 18,7 miliardi di euro spesi dallo Stato per le opere di salvaguardia della laguna dal 1984, oltre il triplo dei due inizialmente ipotizzati, con una progressione vertiginosa. Ma l’aspetto drammatico è che contro ogni ragionevolezza dell’opera non si conosce con certezza il costo finale, come anche l’ammontare delle spese per la manutenzione.