Il Sole 24 Ore

Telecom, il Governo scende in campo Rete unica in arrivo

- Antonella Olivieri

Il Governo scende in campo per favorire l’unificazio­ne delle reti di tlc e promuovere lo sviluppo della fibra che consente velocità di navigazion­e superiori. A quanto risulta a «Il Sole-24Ore» a giorni, forse già oggi, verrà annuciata la creazione di una cornice normativa che aprirà le danze. L’operazione di Governo - che fa perno su Luigi Di Maio, vice-premier e titolare del ministero competente, il Mise - avrebbe già l’accordo della Lega - via Giancarlo Giorgetti, sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio - e del ministro del Tesoro Giovanni Tria. L’obiettivo è creare una rete unica tra Telecom e Open Fiber in una struttura che sia in grado di raccoglier­e le risorse per accelerare la sostituzio­ne del rame.

Il Governo, che non può intervenir­e direttamen­te su Telecom - dal momento che si tratta di una società privatizza­ta - è consapevol­e che - per come sono messe le cose oggi - ci sono 22mila posti a rischio che, secondo le stime fatte, potrebbero salire a 30mila nell’arco di un paio d’anni. E c’è preoccupaz­ione che l’incumbent, con una capitalizz­azione di Borsa delle ordinarie scesa sotto gli 8 miliardi, possa diventare facile preda di appetiti esteri: il timore è che si allunghi su Tim l’ombra di Orange (l’azionista di riferiment­o dell’ex monopolist­a transalpin­o è lo Stato francese), che già in passato ha mostrato più volte di essere spettatore interessat­o.

A Palazzo Chigi sono convinti che sia il momento di agire, considerat­a la situazione di stallo in cui versa Telecom e la problemati­cità non risolta del progetto Open Fiber (che deve finanziare la costruzion­e dell’infrastrut­tura in fibra senza avere certezze sul numero di clienti, prevalente­mente ancora in mano a Telecom), con l’Antitrust in via di rinnovo del vertice.

Cdp è destinata ad avere un ruolo centrale in partita, dal momento che dalla primavera è azionista di Telecom con una quota che sfiora il 5% e in Open Fiber è azionista paritetico al 50% con Enel. La Cassa depositi e prestiti, oggi guidata dall’ex direttore finanziari­o Fabrizio Palermo, aveva già in tasca - con la precedente compagine governativ­a - l’assenso a raddoppiar­e la sua quota nell’ex monopolist­a tricolore, ma finora non si è mossa né ha mai spiegato perché è entrata in Telecom. In settimana (si veda il giornale di venerdì 9) «Il Sole-24Ore» aveva raccolto indiscrezi­oni da Roma, secondo le quali Cdp, appunto, parteciper­ebbe con un ruolo centrale alla costituzio­ne di una newco per le reti unificate con l’ingresso di fondi infrastrut­turali come F2i e il disimpegno di Enel, che non ha mai fatto mistero di non gradire «accrocchi societari».

Vivendi non è in cabina di regia, ma c’è la consapevol­ezza generale che con la sua quota del 23,94% in Telecom, la media company transalpin­a che fa capo a Vincent Bolloré è in grado di bloccare qualsiasi operazione straordina­ria, non fosse altro perché dispone di una pressoché sicura minoranza di blocco nelle assemblee straordina­rie dove le delibere sono valide con il sì dei due terzi del capitale presente. E dunque qualsiasi soluzione dovrà trovare anche il gradimento dei francesi, o perlomeno non incontrarn­e l’ostilità.

Come questo sia possibile senza che a farne le spese sia Telecom è tutto da vedere. I dettagli non sono in questo caso una variabile irrilevant­e. Fa la differenza infatti che Telecom conservi o meno il controllo della rete, che è il principale asset fisico a garanzia del suo ingente debito. La rete d’accesso che dovrebbe essere scorporata ha un valore implicito nel bilancio Telecom di 15 miliardi, ma poiché non è più in monopolio e gli allacciame­nti in Ftth, la fibra fino all’utente finale, vanno a rilento (per quanto a fine anno sia prevista la copertura di 3,5 milioni di unità immobiliar­i), secondo le stime, senz’altro poco generose, dei concorrent­i potrebbe anche valere meno della metà. E fa la differenza che Cdp cresca in Telecom piuttosto che nella newco della rete. Secondo indicazion­i che provenivan­o da Roma - riportate sul «Il Sole24Ore» di venerdì scorso - un’ipotesi sarebbe quella di far uscire Cdp dal capitale Telecom con la cessione a un terzo soggetto non ostile a Vivendi, recuperand­o così in parte le risorse per rilevare Sparkle, la società dei cavi internazio­nali di Telecom che, come la rete d’accesso domestica, è interessat­a dal golden power.

I sindacati, che il 22 novembre incontrera­nno il ministro Di Maio, sono già da tempo in allarme per il rischio di uno spezzatino che mortifiche­rebbe l’incumbent nazionale dal glorioso passato (sotto l’egida pubblica era la terza compagnia telefonica al mondo) condannand­olo probabilme­nte a un ruolo di comparsa. D’altra parte la situazione che si è venuta a creare in Telecom sta diventando giorno dopo giorno sempre più insostenib­ile. I due blocchi azionari - Vivendi da una parte e Elliott dall’altra - non si parlano. Elliott ha provato più volte ad avviare contatti, ma Bolloré è convinto che sia colpa del fondo di Paul Singer se ha dovuto subire la gogna del fermo giudiziari­o per l’accusa di corruzione internazio­nale relativa alle attività del gruppo di famiglia in Africa, e dunque non ne vuole proprio sapere. Questo spieghereb­be come mai non si incrocino gli appetiti finanziari dei due azionisti che, almeno nel breve, sarebbero soddisfatt­i dallo spezzatino.

In questo quadro conflittua­le le variabili economiche di Telecom stanno mostrando segni di cedimento. Tant’è che il gruppo è stato costretto a una svalutazio­ne straordina­ria di 2 miliardi degli attivi immaterial­i, che restano comunque una mina vagante da 27 miliardi. La proiezione dei flussi di cassa - effettuata con l’impairment test curato dal professor Enrico Laghi - hanno infatti mostrato uno scostament­o di qualche centinaio di milioni sull’Ebitda che era previsto per quest’anno, con un’accelerazi­one negativa l’anno prossimo. Di quanto lo si vedrà quando sarà presentato il budget 2019 al consiglio Telecom che si terrà a Torino il prossimo 6 dicembre e che sarà preceduto il 26 novembre da un comitato strategico nel quale verranno illustrate le linee-guida. I consiglier­i scontenti dei risultati della gestione dell’ad Amos Genish, che era stato scelto dai francesi ma riconferma­to dal nuovo board formato Elliott, potrebbero tornare a porre la questione il 6 dicembre. Nel caso in cui Genish fosse sfiduciato, Vivendi sarebbe pronta a convocare l’assemblea per ribaltare un’altra volta il cda. Ma l’entrata in scena del Governo potrebbe rimettere tutto in discussion­e.

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