L’Europa? È figlia del mare
Una mostra di grande respiro racconta come il Mediterraneo e le altre distese d’acqua, sin dall’antichità, abbiano plasmato la nostra terra: 12 città portuali introducono ciascuna un tema e un periodo
Chi si trovasse a passeggiare lungo la Sprea nelle prossime settimane autunnali, non dovrebbe perdere l’occasione di fare una sosta nella moderna dépendance di vetro e pietra del Deutsches Historisches Museum (progettata da I. M. Pei) e visitare la splendida Europa und das Meer. Perché? Perché nel mare magnum di mostre blockbuster prodotte dal sonno della mente di curatori e direttori di musei a cui l’Italia ci ha abituato, si imbatterebbe, finalmente, in un’esposizione intelligente, seria, educativa; in una parola, pensata.
Che cosa ci fa una mostra sull’Europa e il mare a Berlino? Innanzitutto si inserisce in una politica culturale coerente, che il museo storico tedesco persegue dal tempo della sua fondazione (fortemente voluta da Helmut Kohl), ovvero insegnare ai cittadini della Germania che cosa significhi essere tedeschi ed europei, abitanti di un Paese e membri di una più vasta civiltà. Poi mira a illustrare il modo in cui il mare, dall’antichità a oggi, ha plasmato l’Europa, anche quella più distante dalle coste.
Mare in senso lato, dunque. Non solo, cioè, il Mediterraneo, già oggetto di studi magistrali (due nomi su tutti: Fernand Braudel e David Abulafia), ma anche gli altri mari che lambiscono o sferzano le coste europee: l’Oceano Atlantico, il Mare del Nord, il Mare di Norvegia e il Mar Baltico. Un tema vastissimo, che i curatori Dorlis Blume, Christiana Brennecke, Ursula Breymayer e Thomas Eisentraut, da un’idea di Jürgen Elvert, hanno scelto di affrontare costruendo un percorso che ruota attorno a dodici città portuali, ognuna destinata a introdurre un periodo e un argomento (approfonditi in un ricco catalogo).
Il Pireo, Venezia, Danzica, Siviglia, Lisbona, Amsterdam, Nantes, Londra, Bremerhaven, Bergen, Kiel e Brighton: dodici soglie tra terra e mare, ma anche dodici nodi di reti globali, come ci spiegano i curatori presentandoci una miriade di oggetti provenienti da archivi, biblioteche e musei di tutta Europa. Impossibile darne conto qui
se non sommariamente.
L’appropriazione del mare da parte dell’antica Grecia e in seguito il suo dominio da parte dell’Impero romano sono testimoniati da una serie di dracme e sesterzi raffiguranti divinità marine, navi, fari e porti come Sidone e Apollonia Pontica. Non a caso la prima descrizione di un porto che la letteratura ci ha tramandato compare nell’Odissea, quando Ulisse giunge nell’isola dei Feaci.
La prima descrizione di un arsenale è invece contenuta nel XXI canto dell’Inferno dantesco, in cui «l’arzanà de’ Viniziani», brulicante di uomini e ribollente di pece, è accostato per similitudine alla bolgia dei barattieri. Questo immenso cantiere è raccontato attraverso mappe, attrezzi e uno statuto della corporazione degli arsenalotti (carpentieri, calafati e remieri). Dalla loro attività scaturì la flotta più potente che abbia mai solcato il Mediterraneo. Potente tanto nei commerci quanto nelle guerre. Ce lo ricorda un ritratto, eseguito dalla bottega di Tintoretto, dell’ammiraglio Sebastiano Venier, vincitore della battaglia di Lepanto (1571).
Danzica, al lato opposto d’Europa, ci proietta nel tempo e nello spazio della Lega anseatica, un consorzio di 200 città, fra cui Lubecca, Bruges e Novgorod, che commerciavano fra loro in base a leggi comuni. Questi traffici sono evocati dal relitto di una nave medievale ritrovato al largo della costa tedesca e contenente barre di ferro, barili di catrame e piatti di rame perfettamente conservati: quasi una capsula del tempo.
Protagonista indiscussa dell’età delle scoperte è invece la penisola iberica. Da un lato Lisbona, capitale dell’Impero portoghese (di cui Goa era l’avamposto commerciale e missionario più importante); dall’altro Siviglia, porta d’accesso al Nuovo Mondo (Plus ultra era il motto dei re di Spagna). L’oggetto forse più inaspettato di questa sezione è una lettera di Cervantes del 1590 (si veda l’articolo accanto), nella quale chiedeva al Consiglio delle Indie un impiego amministrativo in una delle colonie spagnole d’America. Fortuna per la letteratura che non sia stato assunto!
Se nel ’600 lo scettro della supremazia navale passa all’Olanda – l’imponente schieramento di velieri che domina la Veduta di Amsterdam di Pieter Bast sarebbe sufficiente a dimostrarlo –, il primato del traffico di schiavi spetta alla Francia. «Tale commercio – si legge nel Parfait négociant di Jacques Savary (1675) – pare inumano a coloro che non sanno che queste povere genti sono idolatre o musulmane, e che i mercanti cristiani, comprandole dai loro nemici, le traggono da una crudele schiavitù, e consentono loro di trovare nelle isole francesi d’America non solo una servitù più dolce, ma persino la conoscenza del vero Dio».
Il porto di Londra è il trampolino da cui saltare nell’era della globalizzazione. Quelli che un tempo erano considerati beni di lusso (caffè, tè, cioccolato, tabacco, esposti nelle confezioni d’epoca), nel corso dell’800 si trasformano in beni di largo consumo. La costruzione dei docklands a Londra e della Speicherstadt ad Amburgo è una conseguenza delle nuove necessità di stoccaggio. Ma le innovazioni che lastricano il terreno di questa rivoluzione commerciale sono altre: la navigazione a vapore, il cavo sottomarino, l’apertura del Canale di Suez.
Negli stessi anni l’Europa diventa un paese d’emigrazione. Dal museo storico di Bremerhaven provengono bauli, valigie, lettere dei primi migranti che compirono la traversata atlantica in fuga dalla povertà. È forse scontata ma non inutile la scelta di esporre anche zaini, marsupi e cellulari appartenuti a quei profughi che stanno trasformando l’Europa in un paese d’immigrazione e il Mediterraneo in un immenso cimitero marino.
Mare come ponte o barriera, quindi, ma anche come risorsa. Ce lo rammentano le ultime sezioni dedicate a Bergen, porto strategico sia per la pesca sia per l’essiccazione del merluzzo; a Kiel, centro d’eccellenza per la ricerca sul cambiamento climatico e la biogeochimica marina; e a Brighton, spa ante litteram dove nacque il moderno turismo balneare, celebrato in migliaia di cartoline e manifesti.
Si chiude così il percorso espositivo che si era aperto con una statuetta in terracotta del IV secolo a.C. raffigurante il ratto d’Europa. Il mito vuole che Zeus, sotto forma di toro, strappasse la principessa fenicia dalle coste di Tiro portandola a nuoto fino all’isola di Creta. La tradizione vuole che il nostro continente debba il suo nome a questa giovane donna venuta dal mare contro la sua volontà.