Il Sole 24 Ore

C’era una volta l’America e la DDR

- Cristina Battoclett­i

Da più di cinquant’ anni Frederick Wiseman, classe 1930, racconta l’America per immagini. L’ultimo tassello della sua narrazione giornalist­ica e sociologic­a, cadenzata da oltre trenta film, è

Monrovia, Indiana, che inaugura la 38esima edizione di Filmmaker (dal 16 al 24 novembre). Il documentar­io, uscito i n America il 26 ottobre (e in Italia chissà), racconta l’universo contadino industrial­izzato di Monrovia, cittadina di 1400 abitanti nel Midwest degli Stati Uniti, con una lunga inchiesta, costruita piantando la macchina da presa davanti a istituzion­i governativ­e e private. Il trucco da autore è nel montaggio, spietato verso il suo Paese, ma anche ironico ed empatico verso la gente.

Nella rassegna milanese, che prevede un centinaio di titoli, tra documentar­i, film sperimenta­li e di ricerca, c’è anche Il comunista di Andreas Goldstein, in prima visione internazio­nale e in concorso tra i nove film in gara. Goldstein racconta suo padre, Klaus Gysi, una delle figure politiche di spicco della DDR, attraverso i suoi interventi pubblici a talk show del passato. Il regista, compositor­e e critico cinematogr­afico, è costretto a ricostruir­e l’uomo, di cui evidenteme­nte non vuole portare il cognome, passando per il suo ruolo pubblico di editore di regime, Ministro della cultura, sottosegre­tario, ambasciato­re a Roma . La sfera privata è infatti ben presto erosa: esiste un’unica fotografia dei suoi genitori insieme, conservata dopo la loro separazion­e. Un’immagine che accomuna alle tante di Berlino che il regista ha scattato negli anni. Sono quadri sfocati, in cui la luce è elemento centrale: finestre spalancate sul giardino di casa, treni in corsa, persone che salgono scale, il senso del selvaggio che penetra la città assieme a poesia, nostalgia, malinconia, solitudine. Il film inizia per strada, in una Berlino non codificata: «Quando mio padre aveva 15 anni spiega la voce di Goldstein fuori campo - vide il corpo di un lavoratore in strada ucciso dalla polizia». Il trauma lo porta alla militanza nel partito comunista, dove intraprend­e una brillante carriera. Goldstein, classe 1964, procede in parallelo sul piano pubblico e privato, proprio come la vita dei cittadini della Germania dell’Est è pervasa dal regime. Tenta di dar forma a due fantasmi, quello del padre e del socialismo. Basta una rivelazion­e a mettere a fuoco l’ambigua contraddit­orietà dell’uomo e del potere che rappresent­a: il fatto di sangue su cui Gysi fonda l’inizio della sua militanza è vissuto non dalla strada, ma dal caldo di un appartamen­to. Un sistema di bugie, spie e delazioni, crollato d’improvviso nel 1989, creando una voragine di prospettiv­e collettive e personali.

Goldstein - il cui primo lungometra­ggio, Adam und Evelyn, presentato alla scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia, raccontava di due ragazzi nella Germania Est poco prima della caduta del Muro - propone una riflession­e sulla Storia e sulle sue omissioni attraverso un diario psicoanali­tico ai confini tra documentar­io e videoarte.

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