Mercati, torna l’allarme Brexit: cade la sterlina, Borse scosse
La giornata. La valuta inglese cade da 1,15 a 1,125 euro, ondata di vendite sulle banche britanniche Listini europei in rosso con l’eccezione proprio di Londra: corrono le aziende esportatrici
La Brexit, tra i fattori di rischio che intimoriscono i mercati, ieri ha rubato la scena allo scontro RomaBruxelles. In mattinata infatti, passata solamente una notte dal sofferto accordo con l’Ue voluto dal Primo Ministro Theresa May, dapprima si è dimesso il ministro per la Brexit Domic Raab; poi il capo del dicastero del Lavoro e delle pensioni Ester McVey. Un uno-due cui listini hanno immediatamente reagito.
Il mercato monetario
La sterlina è rotolata verso il basso: il pound, rispetto all’euro, è passato in un lampo da quota 1,15 a 1,129 per poi “chiudere” sui mercati europei intorno a 1,125. Analoga la dinamica nei confronti del dollaro: qui la divisa britannica è schizzata all’ingiù fino al valore di 1,273 sul biglietto verde. Contestualmente il titolo di Stato decennale inglese, insieme al Bund e all’Oat francese, è stato oggetto di acquisti: il prezzo del Gilt è salito da quota 101,2 a 102,6. I listini azionari europei, dal canto loro, hanno tutti mostrato debolezza (l’Euro Stoxx index ha ceduto lo 0,69%). Unica eccezione: la stessa Londra. Il Ftse 100 ha archiviato la seduta piatto (+0,06%).
Al di là di numeri e percentuali c’è da stupirsi di simili reazioni? La risposta è negativa. I contrasti all’interno dell’Esecutivo guidato da Theresa May, che potrebbe dovere affrontare il voto di sfiducia, sono stati interpretati come il segnale delle difficoltà nel raggiungere l’intesa con Bruxelles. Un contesto d’incertezza che ha indotto le vendite sulla divisa britannica. Non solo. L’eventuale mancato accordo implicherebbe uno scenario in cui l’economia inglese, secondo molti esperti, sarebbe destinata a rallentare. S&P ad esempio, nell’ipotesi del “no deal”, prevede nel 2019 il calo del Pil dell’1,2% e dell’1,5% nel 2020. Solamente nel 2021 avremmo la ripresa. Orbene: a fronte di queste previsioni le aspettative riguardo alla crescita degli asset denominati in sterline si fanno più “fosche”. Di qui, nuovamente, la scelta degli operatori di vendere la valuta britannica.
I titoli azionari
Diverso invece, almeno nella seduta di ieri, il discorso riguardo all’azionario della City. Su questo fronte i “sell” hanno colpito le banche (il settore ha ceduto lo 0,62%). La dinamica, soprattutto considerando i problemi che gli istituti di credito inglesi dovrebbero affrontare nel caso del “no deal”, da un lato era “attesa”; ma, dall’altro, è stata controbilanciata dagli acquisti sulle azioni delle aziende esportatrici che si avvantaggiano della svalutazione della sterlina.
Fin qui alcune considerazioni su valute e listini azionari. L’attenzione degli operatori, tuttavia, era volta anche al mondo del reddito fisso. Qui, in primis, si è assistito al rialzo dei titoli di Stato britannici. Perchè? Vediamo di rispondere. Il Gilt, come tutti i governativi, ha un rendimento che tra le altre cose è funzione della politica monetaria (tassi d’interesse) e della crescita economica (inflazione). Nel momento in cui si teme che la congiuntura di Londra rallenti, da un lato, le stime sul costo della vita si riducono; e, dall’altro, aumentano le probabilità che la Banca d’Inghiterra sia costretta ad un approccio meno aggressivo sui tassi (attualmente allo 0,75%). Così gli investitori, che non sperano più in emissioni di nuovi titoli a tassi maggiori, riducono le vendite o, addirittura, comprano. Ed è proprio quello che è accaduto ieri con i governativi britannici.
Acquisti sui governativi inglesi: il timore è che l’eventuale calo dell’economia possa impattare sull’inflazione
Il rendimento del titolo decennale tedesco cala dallo 0,4% allo 0,36%: gli investitori a caccia di sicurezza
La dinamica dello spread
A ben vedere gli acquisti hanno contraddistinto altri titoli di Stato. Tra gli altri: il Bund. Il rendimento del decennale tedesco è calato dallo 0,4% allo 0,36%. Il tasso del BTp, dal canto suo, è rimasto di fatto invariato. Il combinato disposto dei due movimenti, al di là delle variazioni”intraday”, è stato il rialzo dello Spread (313 punti base contro i 310 di mercoledì). Una crescita che però, almeno ieri, «non è da ricondursi - spiega Antonio Cesarano Chief Global Strategist di Intermonte Sim - al rischio Italia. Bensì al “fly to quality” conseguente ai timori sulla Brexit». Cioè: gli investitori, sempre più timorosi per il futuro, si sono rifugiati su asset ritenuti sicuri. Così non è un caso che in serata, mentre Wall Street danzava intorno alla parità, il tasso del T-Bond decennale sia sceso al 3,09%. L’economia Usa è sempre vista come un “safe haven”.
Soprattutto in un mondo che tra guerre doganali con la Cina, Brexit e rischio di Italexit continua a rallentare.