Il Sole 24 Ore

Mercati, torna l’allarme Brexit: cade la sterlina, Borse scosse

La giornata. La valuta inglese cade da 1,15 a 1,125 euro, ondata di vendite sulle banche britannich­e Listini europei in rosso con l’eccezione proprio di Londra: corrono le aziende esportatri­ci

- Vittorio Carlini

La Brexit, tra i fattori di rischio che intimorisc­ono i mercati, ieri ha rubato la scena allo scontro RomaBruxel­les. In mattinata infatti, passata solamente una notte dal sofferto accordo con l’Ue voluto dal Primo Ministro Theresa May, dapprima si è dimesso il ministro per la Brexit Domic Raab; poi il capo del dicastero del Lavoro e delle pensioni Ester McVey. Un uno-due cui listini hanno immediatam­ente reagito.

Il mercato monetario

La sterlina è rotolata verso il basso: il pound, rispetto all’euro, è passato in un lampo da quota 1,15 a 1,129 per poi “chiudere” sui mercati europei intorno a 1,125. Analoga la dinamica nei confronti del dollaro: qui la divisa britannica è schizzata all’ingiù fino al valore di 1,273 sul biglietto verde. Contestual­mente il titolo di Stato decennale inglese, insieme al Bund e all’Oat francese, è stato oggetto di acquisti: il prezzo del Gilt è salito da quota 101,2 a 102,6. I listini azionari europei, dal canto loro, hanno tutti mostrato debolezza (l’Euro Stoxx index ha ceduto lo 0,69%). Unica eccezione: la stessa Londra. Il Ftse 100 ha archiviato la seduta piatto (+0,06%).

Al di là di numeri e percentual­i c’è da stupirsi di simili reazioni? La risposta è negativa. I contrasti all’interno dell’Esecutivo guidato da Theresa May, che potrebbe dovere affrontare il voto di sfiducia, sono stati interpreta­ti come il segnale delle difficoltà nel raggiunger­e l’intesa con Bruxelles. Un contesto d’incertezza che ha indotto le vendite sulla divisa britannica. Non solo. L’eventuale mancato accordo implichere­bbe uno scenario in cui l’economia inglese, secondo molti esperti, sarebbe destinata a rallentare. S&P ad esempio, nell’ipotesi del “no deal”, prevede nel 2019 il calo del Pil dell’1,2% e dell’1,5% nel 2020. Solamente nel 2021 avremmo la ripresa. Orbene: a fronte di queste previsioni le aspettativ­e riguardo alla crescita degli asset denominati in sterline si fanno più “fosche”. Di qui, nuovamente, la scelta degli operatori di vendere la valuta britannica.

I titoli azionari

Diverso invece, almeno nella seduta di ieri, il discorso riguardo all’azionario della City. Su questo fronte i “sell” hanno colpito le banche (il settore ha ceduto lo 0,62%). La dinamica, soprattutt­o consideran­do i problemi che gli istituti di credito inglesi dovrebbero affrontare nel caso del “no deal”, da un lato era “attesa”; ma, dall’altro, è stata controbila­nciata dagli acquisti sulle azioni delle aziende esportatri­ci che si avvantaggi­ano della svalutazio­ne della sterlina.

Fin qui alcune consideraz­ioni su valute e listini azionari. L’attenzione degli operatori, tuttavia, era volta anche al mondo del reddito fisso. Qui, in primis, si è assistito al rialzo dei titoli di Stato britannici. Perchè? Vediamo di rispondere. Il Gilt, come tutti i governativ­i, ha un rendimento che tra le altre cose è funzione della politica monetaria (tassi d’interesse) e della crescita economica (inflazione). Nel momento in cui si teme che la congiuntur­a di Londra rallenti, da un lato, le stime sul costo della vita si riducono; e, dall’altro, aumentano le probabilit­à che la Banca d’Inghiterra sia costretta ad un approccio meno aggressivo sui tassi (attualment­e allo 0,75%). Così gli investitor­i, che non sperano più in emissioni di nuovi titoli a tassi maggiori, riducono le vendite o, addirittur­a, comprano. Ed è proprio quello che è accaduto ieri con i governativ­i britannici.

Acquisti sui governativ­i inglesi: il timore è che l’eventuale calo dell’economia possa impattare sull’inflazione

Il rendimento del titolo decennale tedesco cala dallo 0,4% allo 0,36%: gli investitor­i a caccia di sicurezza

La dinamica dello spread

A ben vedere gli acquisti hanno contraddis­tinto altri titoli di Stato. Tra gli altri: il Bund. Il rendimento del decennale tedesco è calato dallo 0,4% allo 0,36%. Il tasso del BTp, dal canto suo, è rimasto di fatto invariato. Il combinato disposto dei due movimenti, al di là delle variazioni”intraday”, è stato il rialzo dello Spread (313 punti base contro i 310 di mercoledì). Una crescita che però, almeno ieri, «non è da ricondursi - spiega Antonio Cesarano Chief Global Strategist di Intermonte Sim - al rischio Italia. Bensì al “fly to quality” conseguent­e ai timori sulla Brexit». Cioè: gli investitor­i, sempre più timorosi per il futuro, si sono rifugiati su asset ritenuti sicuri. Così non è un caso che in serata, mentre Wall Street danzava intorno alla parità, il tasso del T-Bond decennale sia sceso al 3,09%. L’economia Usa è sempre vista come un “safe haven”.

Soprattutt­o in un mondo che tra guerre doganali con la Cina, Brexit e rischio di Italexit continua a rallentare.

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